Sul tema, però, vanno precisate un po' di cose.
Esistono già prodotti bancari costruiti (sorprendentemente) con intelligenza, spesso insieme alle università. Li hanno in portafoglio Intesa e Unicredit. I volumi son modesti (meno di 10 mila operazioni l'anno) e le condizioni eque, in virtù della provvista agevolata fornita dalla Bei (che però non è riuscita a trovare altri acquirenti per la propria offerta, a dimostrazione della scarsa sensibilità delle banche sul tema).
Poche settimane fa il Ministero della gioventù ha lanciato un programma di modifiche di Diamogli credito, che fu lanciato dal governo Prodi. Il nuovo programma sembra più coerente col target: piani di ammortamento lunghi, periodi di grazia adeguati, importi più vicini alle reali esigenze. Ha alcuni limiti forti, derivanti dalla miopia del governo, che certo non scopriamo in questo caso, e dalla tetragona ideologia antibanca della Meloni: c'è un limite minimo al finanziamento di 3 mila euro l'anno che non ha senso, manca il coinvolgimento delle università, la procedura è meno snella della precedente.
Comunque, mentre Diamogli credito era molto 'credito al consumo', Diamogli futuro (questo l'infelice nome voluto dalla Meloni) è più simile al prestito studentesco delle esperienze nordeuropee. Ed è anche molto appetibile per le banche la garanzia che propone (70%).
Il vero enigma riguarda la domanda (le famiglie italiane sono poco propense all'indebitamento e i nostri giovani poco abituati all'autonomia) e soprattutto i sistemi incentivanti: se il valore della laurea è scarso sul mercato del lavoro perché dovrei indebitarmi per conseguirla? E perché una banca dovrebbe scommettere sul reddito futuro di chi non trova lavoro? E poi, come distinguere tra i laureandi di università diverse, con prospettive di reddito molto differenti (qui paghiamo l'assenza di valutazioni indipendenti sulle performance degli atenei)?
La capacità di innovazione di prodotto delle banche italiane, tanto più in questa fase, è molto bassa. Servirebbe una regia forte del policy-maker, oltre ad un pur apprezzabile fondo di garanzia. Purtroppo sembriamo ancora lontani da queste condizioni.
Esistono già prodotti bancari costruiti (sorprendentemente) con intelligenza, spesso insieme alle università. Li hanno in portafoglio Intesa e Unicredit. I volumi son modesti (meno di 10 mila operazioni l'anno) e le condizioni eque, in virtù della provvista agevolata fornita dalla Bei (che però non è riuscita a trovare altri acquirenti per la propria offerta, a dimostrazione della scarsa sensibilità delle banche sul tema).
Poche settimane fa il Ministero della gioventù ha lanciato un programma di modifiche di Diamogli credito, che fu lanciato dal governo Prodi. Il nuovo programma sembra più coerente col target: piani di ammortamento lunghi, periodi di grazia adeguati, importi più vicini alle reali esigenze. Ha alcuni limiti forti, derivanti dalla miopia del governo, che certo non scopriamo in questo caso, e dalla tetragona ideologia antibanca della Meloni: c'è un limite minimo al finanziamento di 3 mila euro l'anno che non ha senso, manca il coinvolgimento delle università, la procedura è meno snella della precedente.
Comunque, mentre Diamogli credito era molto 'credito al consumo', Diamogli futuro (questo l'infelice nome voluto dalla Meloni) è più simile al prestito studentesco delle esperienze nordeuropee. Ed è anche molto appetibile per le banche la garanzia che propone (70%).
Il vero enigma riguarda la domanda (le famiglie italiane sono poco propense all'indebitamento e i nostri giovani poco abituati all'autonomia) e soprattutto i sistemi incentivanti: se il valore della laurea è scarso sul mercato del lavoro perché dovrei indebitarmi per conseguirla? E perché una banca dovrebbe scommettere sul reddito futuro di chi non trova lavoro? E poi, come distinguere tra i laureandi di università diverse, con prospettive di reddito molto differenti (qui paghiamo l'assenza di valutazioni indipendenti sulle performance degli atenei)?
La capacità di innovazione di prodotto delle banche italiane, tanto più in questa fase, è molto bassa. Servirebbe una regia forte del policy-maker, oltre ad un pur apprezzabile fondo di garanzia. Purtroppo sembriamo ancora lontani da queste condizioni.