Macelleria contabile

Allora e' interessante leggere quelli de lavoce che parlano di macelleria contabile.

Da ieri - infatti - è finalmente disponibile il testo della manovra. Abbiamo così scoperto che un provvedimento presentato come quasi interamente di riduzioni alle spese è composto in realtà al 40 per cento di maggiori entrate, che molti tagli sono di carta, di dubbia praticabilità. Serve più che altro a dare un segnale ai mercati. Non è detto che sia credibile perché rinvia ai posteri gli aggiustamenti strutturali di spesa ed entrate. Ben poco rimarrà in vigore dopo il 2012. E chi paga davvero sono, una volta di più, i giovani.

Da più di una settimana i giornali commentano la manovra economica del governo per i prossimi due anni e mezzo, definita spesso come “di lacrime e sangue”. Si è perfino parlato di una manovra così dura da richiedere un gioco delle parti nell'esecutivo, con il ministro del Tesoro che interpreta il poliziotto cattivo e il presidente del Consiglio quello buono. Ma fino a ieri non c’era un testo con la definizione precisa degli interventi. Il governo stesso ha poi contribuito alla confusione, tant’è che diverse misure annunciate durante la conferenza stampa di presentazione della manovra – dalla soppressione di nove province ai tagli alla cultura, al blocco degli stipendi pubblici ai livelli del 2009 – sono state poi cancellate dal decreto presentato al Senato. Insomma, sin qui si è discusso sostanzialmente al buio. E al buio si lavora molto con la fantasia.


I VERI NUMERI DELLA MANOVRA

Un po’ di luce arriva finalmente dalla Relazione tecnica che accompagna il testo del provvedimento. La tabella che segue ne riassume i numeri principali. Tre elementi emergono con chiarezza.

1. Non è affatto una manovra incentrata solo sui tagli alla spesa; al contrario ben il 40 per cento della manovra a regime (nel 2012) è composto da maggiori entrate.
2. L’incremento delle entrate è dovuto in gran parte ai nuovi provvedimenti anti-evasione, da cui il governo si aspetta di ottenere fino a 8 miliardi di euro, in aggiunta a quanto già stimato nella Relazione previsionale e programmatica.
3. Per più del 70 per cento, i tagli sono rappresentati da riduzioni lineari nelle spese dei ministeri o da semplici riduzioni dei trasferimenti agli enti locali, senza che siano state varate misure strutturali di contenimento delle spese; l’esperienza passata ci insegna che questi sono spesso tagli di carta.

La Relazione tecnica rivela non poche sorprese rispetto a quanto anticipato dal dibattito mediatico. Intanto, i tagli agli enti inutili e ai costi della politica, di cui tanto si è parlato, contano praticamente nulla in termini di riduzione della spesa, nell’ordine di qualche milione di euro. Il congelamento dei contratti nel pubblico impiego conta un decimo di quanto anticipato dai giornali (attorno ai 500 milioni anziché più di 5 miliardi). In effetti, il blocco scatta nel 2010 (quindi salva i tre contratti firmati quest’anno) e contempla l’erogazione della “vacanza contrattuale” per il pubblico impiego. Non è la prima volta che si congelano i contratti, spostando spese più in là, senza risparmi strutturali. In passato, questi blocchi hanno comportato a regime addirittura incrementi di spesa perché il recupero dei rinvii è sempre molto oneroso.

Pesanti sono, invece, gli interventi su scuola e sanità. Per la prima, è soprattutto il blocco degli incrementi automatici delle retribuzioni nel triennio a determinare la riduzione della spesa; per la seconda, è un complesso di riduzioni nel personale e di riclassificazione della spesa farmaceutica.
La chiusura di alcune finestre per pensioni di vecchiaia e anzianità comporta risparmi di circa un miliardo di euro, sperando che l’effetto annuncio non spinga molti ad anticipare l’andata in pensione.

La parte del leone dei tagli la subiscono ancora una volta Regioni e altri enti territoriali, chiamati a contribuire a regime per 8,5 miliardi di euro, oltre il 60 per cento della riduzione prevista nella spesa. Per le Regioni si tratta del sostanziale annullamento dei trasferimenti per il finanziamento delle funzioni devolute con le leggi Bassanini nel 1997; per comuni e province, di un taglio ai trasferimenti dell’ordine del 20 per cento del totale. Come questi enti territoriali potranno gestire riduzioni così imponenti non è chiaro. Infine, la manovra è accompagnata dai soliti tagli lineari ai vari ministeri di spesa, la cui efficacia si è sempre rilevata assai limitata.


Per le entrate, 10 miliardi in più a regime, la leva è la lotta all’evasione. Che ci sia tanto da recuperare su questo fronte è indubbio. Il problema è che è impossibile stimare con precisione il valore delle misure di contrasto, tant’è che nella passata legislatura il governo aveva avuto la buona creanza di non inserire le stime nella manovra, considerandole semmai, a consuntivo, come sorprese positive. I numeri su cui conta questa manovra sono, invece, imponenti. Quasi 8 miliardi verrebbero dal recupero dell’evasione. Si noti che tutto questo avviene in aggiunta al recupero di evasione già contemplato nello scenario tendenziale della Relazione unificata sull’economia e la finanza e che in questa legislatura il governo ha già varato un condono (lo scudo fiscale) e, per ammissione dello stesso ministro dell’Economia, si accinge a vararne un altro sulle dichiarazioni al catasto. Verrà anche questa volta presentato dalla maggioranza in Parlamento anziché dall’esecutivo. Ma non per questo renderà più credibili le misure di contrasto all’evasione.


UN GIUDIZIO INFORMATO

In sintesi, si tratta di una manovra visibilmente improvvisata, che bada a esibire grandi numeri per offrire un quadro macro rassicurante. Le “lacrime e sangue” sono per pochi, i soliti. Chi paga davvero sono i giovani, colpiti dal taglio dei contratti a tempo determinato e dal blocco delle assunzioni e delle carriere nel pubblico impiego (che penalizza soprattutto chi è entrato con salari molti bassi contando sugli scatti di anzianità) oltre che dall’ennesimo rinvio della riforma degli ammortizzatori sociali. Non una, ma due mani, vengono messe nella tasche dei giovani.
L’aggiustamento strutturale langue. Coerente con questa impostazione la scelta di operare sulla cassa (rinvii di spese e tagli ad erogazioni) anziché sulla competenza.


La manovra conta su misure che rischiano di riservarci sorprese negative. Un esempio su tutti. Nel dibattito mediatico si è spesso vagheggiato del contributo che anche i comuni possono dare alla lotta all’evasione, tanto che questi percepiscono già il 30 per cento delle maggiori somme riscosse a seguito della loro partecipazione all’attività di accertamento delle imposte, una percentuale che la manovra di questi giorni porta al 33 per cento. Ebbene, la relazione aiuta a far chiarezza su questo fronte. Risulta che nel 2009 e nei primi mesi del 2010 la partecipazione dei comuni abbia complessivamente condotto a maggiori accertamenti di imposte per 6 milioni di euro e a maggiori risorse riscosse per 450mila euro, di cui un po’ meno di 150mila sono andati ai comuni. Speriamo che non sia questo il modo con cui si pensa di saldare i conti degli enti locali e recuperare gettito all’evasione.

Vedi qui la tabella di sintesi.

Familismo doloroso

Per il coraggio delle persone che ci lavorano. Per la ruvidezza dei toni di Gino Strada, che mi dà ossigeno contro il vellutato linguaggio della sinistra di questi tempi. Per la forza dei diritti umanitari da promuovere. Ad ogni costo.

Per questo, però, mi fa male vedere che la presidente di Emergency è Cecilia Strada.
Figlia di Gino.

Un po' come gli Agnelli, i Colaninno, i Guidi, i Moratti, i Berlusconi, i Bossi...

Il familismo, l'immobilismo sociale uccidono questo paese.
Mi fa male vedere che anche una bella cosa come Emergency ci caschi così vistosamente.

Ah bé, sì bé, ah bé, sì bé, ah bé...

Bossi vuole prendersi le banche, dice. Dice che lo vuole fare perché glielo chiede la gente.

Povero Re, e povero anche il cavallo, cantava Iannacci.

L'ex capo della vigilanza della
Banca d'Italia, Francesco Frasca, ricorda come ''disastrosa''
l'ispezione avvenuta a suo tempo all'interno della
CrediEuronord, la Banca della Lega di Umberto Bossi. E' quanto
emerso nel corso dell'interrogatorio all'ex funzionario di
Palazzo Koch sul tentativo di scalata all'Antonveneta, durante
il quale il Pm Eugenio Fusco ha chiesto qualche chiarimento
sulla breve storia dell'istituto poi 'salvato' dall'allora
Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani.

Frasca ha cosi' ricordato che, in seguito all'ispezione,
''era stato detto di procedere con un'aggregazione o con il
commissariamento e quindi la liquidazione''. L'ex capo della
vigilanza ha poi sottolineato i contatti tra lui e Giancarlo
Giorgetti della Lega (allora presidente della Commissione
Bilancio della Camera) per mettere a punto un piano di
salvataggio della banca.

Povero Re, e povero anche il cavallo, cantava Iannacci. Ancora.

In particolare, Frasca ha ricordato come, dopo il fallimento
delle trattative volte a trovare un accordo con la Popolare di
Milano e il no di Banca Sella che aveva effettuato una due
diligence dalla quale era emersa la ''presenza di troppi fondi
rischiosi'', si era fatto avanti Fiorani che poi nel 2004
assorbi' la banca nel gruppo Bpi.

Si sa come andò a finire.

Povero Re, e povero anche il cavallo.

Ah bé, sì bé, ah bé, sì bé, ah bé...

Non me ne può fregare di meno

Santa madre chiesa ha deciso di perdonare i Beatles, dice l'Osservatore romano.

Di che?

che nel 1966 John Lennon disse "siamo più famosi di Cristo"?

o che nei '70 cantava "I don't believe in god, I just believe in me..."?

Non si sa. Ciò che conta è la reazione di Ringo Starr, che ha
commentato: "Non me ne può fregare di meno".

Meno male. Non tutti i miti crollano...

La Polverini, la legalità, la mafia e Fondi...

L’Italia è il Paese che gli italiani meritano. Dopo le elezioni regionali la (mia) convinzione inossidabile diventa ancor più certezza granitica.

Prendiamo il Lazio. E prendiamo Fondi (Latina). Una regione e un comune ad alta densità mafiosa (lo dicono i magistrati e gli inquirenti, oltre a molti politici). Come sapete al Lazio e a Fondi ho già dedicato decine di inchieste tra Sole-24 Ore quotidiano, Radio24 e questo umile blog (si vedano, da ultimi i post del 28 gennaio, del 14 aprile e del 4 agosto 2009). Ora – a urne chiuse e a uovo di Pasqua digerito – torno a parlarne. Magari a qualcuno l’ovetto tornerà su. Pazienza.

LA PAROLA NON PRONUNCIATA: MAFIA

Renata Polverini – ex sindacalista inciampata in qualche problema di lettura dei numeri delle tessere sindacali – è il nuovo Governatore. Bene. Brava. Bis? E chi lo sa?

Non si è neppure insediata ma – per quanto mi riguarda – già la rincorsa alla vittoria era partita con il piede sbagliato. Fregandomene (come sapete) dei colori politici per i quali provo autentico e indistinto disgusto, la mia chiave di lettura ruota, ovviamente, sempre intorno ai temi della legalità e dell’aggressione alle mafie e ai loro patrimoni. Condizioni imprescindibili per lo sviluppo sano di un territorio ma, evidentemente, all’ex sindacalista pur cresciuta a comizi e assemblee, il dettaglio deve essere (momentaneamente) sfuggito.

Vedete, da giornalista cresciuto con il mito dei grandi giornalisti (irraggiungibili per me) ho il viziaccio di passare giorni e notti a leggere documenti magari per scrivere solo un post. Ebbene, ho letto le 48 interminabili pagine del suo programma di governo 2010-2015, che contiene 60 dettagliatissimi impegni. Non ci crederete: in quel programma – dove pure l’urgenza è dedicare un paragrafo alla “people production” (?!) - non compare mai la parola mafia e, ovviamente, il relativo impegno a combatterne i disvalori di inquinamento costante e perenne della società civile laziale.

La parola legalità compare per la prima e unica volta a pagina 17, la parola illegalità è sconosciuta (evidentemente nel Lazio nel rispetto dei Santi non si delinque) mentre la parola criminalità (senza l’inutile appendice di “organizzata” perché, si sa, nel Lazio la disorganizzazione delle mafie regna sovrana) compare al punto 47 degli impegni di governo, sotto il titolo: “Città sicure, territorio, mobilità e qualità della vita” (tutto insieme appassionatamente). Ebbene, ecco cosa dice sul punto (riporto integralmente, abbiate pietà):

47. UNA REGIONE SICURA

“La domanda di sicurezza dei cittadini necessita di una risposta coerente e sistematica da parte delle istituzioni. La Regione deve realizzare un sistema integrato, non solo sul piano delle competenze istituzionali, ma soprattutto su quello del territorio, per evitare che la criminalità e la percezione di insicurezza siano diverse da provincia a provincia. Negli ultimi anni le politiche regionali per la sicurezza sono state concepite in termini tradizionali di sussidio e di supporto finanziario ai progetti locali ed in termini di partecipazione ai tavoli interistituzionali con le Autorità centrali. La Regione Lazio può e deve fare molto di più per garantire omogeneità e stabilità al sistema di sicurezza del territorio. E’ necessario che la Regione assuma iniziative che le conferiscano una nuova centralità e che mirino alla realizzazione di un effettivo “sistema integrato di sicurezza”. Programmazione delle politiche, armonizzazione degli obiettivi da raggiungere, coordinamento delle iniziative sul territorio, apertura di una conferenza permanente tra e con le autorità locali, costituiscono allora i punti cardine di una nuova politica regionale sulla sicurezza, elaborata tanto sul piano legislativo, quanto su quello amministrativo”.

47. MORTO CHE PARLA

Più che un punto 47. “Una regione sicura”, a me sembra piuttosto un punto 47. “Morto che parla”. A parte che sfido chiunque a capire che cosa abbia voluto dire in italiano chi ha steso questo punto, a parte che chiamo in causa l’Accademia della Crusca per capire cosa voglia significare: “…evitare che la criminalità e la percezione di insicurezza siano diverse da provincia a provincia…” (forse che i laziali debbono avere paura tutti allo stesso modo?), come vedete non una sola volta in tutto il programma si parla di bisogno (primario) di legalità e di lotta alle mafie. In primis alla ‘ndrangheta che come sapete sta mangiando parti intere della capitale ma, sullo stesso livello, la camorra che sta divorando la provincia di Latina.

Zero carbonella. Neppure nel forum del suo sito Internet (che pure ho spulciato con meticolosità da certosino) ho trovato un solo accenno da parte degli elettori di Polverini alla voce sicurezza. In tutto 45 commenti (sigh!) il più interessante dei quali è una lettera di non meglio precisati poliziotti del commissariato di Tor Pignattara che scrivono alla governatrice in pectore il 1° marzo alle 14.52 sui temi della sicurezza in quel quartiere e al rischio che chiudano i battenti in nome del risparmio. Risposte a questo tema vitale e concreto: nel forum non ne ho viste ma forse non so leggere. Questo, ovviamente, non vuol dire che Polverini non abbia a cuore i temi della legalità e lotta alle mafie, ci mancherebbe, ma le parole scritte su un programma, oltre che i fatti, sono l'unica chiave di lettura di cui al momenti dispongo.

Qualcuno mi dirà: ma perché non fai le pulci anche alla candidata perdente Emma Bonino? Detto fatto, anche se una cosa voglio premetterla: la critica deve stimolare il vincitore e non il perdente. A lui (in questo caso lei) l’onere della prova: dimostrare di avere le carte in regola per governare, a partire dalla qualità sui temi in cui si misurerà il governo della cosa pubblica. Nella qualità dei temi la lotta alle mafie è imprescindibile. E’ come l’aria che si respira.

Ebbene la faccio breve: Bonino in un altrettanto stucchevole, onnicomprensivo, interminabile programma di 54 pagine suddiviso in 20 noiosissimi punti, almeno già nelle premesse diceva chiaro e tondo quanto segue: “legalità, trasparenza e progettualità: i tre criteri ispiratori della politica regionale”. Tanto? Poco? Boh, almeno qualcosa. E nell’appello elettorale si diceva dopo appena due righe che oggi la democrazia “è aggredita dall’illegalità…”. E, infine, nel punto programmatico in cui Bonino parlava di “Sicurezza, prevenzione e legalità”, c’è la declinazione di una serie di misure: dai protocolli di legalità, alla trasparenza degli appalti e al relativo monitoraggio, per finire con un piano di riutilizzo dei beni confiscati alla mafia.

Insomma: meglio che niente…meglio, anche se le chiacchiere sono chiacchiere e i fatti un’altra cosa. E nel caso di Bonino non avremo mai la controprova se erano solo chiacchiere. Il distintivo, infatti, non lo ha e non lo avrà più.

E dire che Polverini (così come Bonino) avevano intrecciato la contesa elettorale a partire dal tema della sanità, i cui legami con l’illegalità e la criminalità sono talmente evidenti che la sponda (se solo la si fosse voluta trovare e cercare) sarebbe stata lì a portata di mano.

LA RELAZIONE DELLA DNA E IL RAPPORTO NASCOSTO

I laziali avevano conosciuto – sul tema legalità – le mirabolanti avventure di Piero Marrazzo. Molti di voi ricorderanno che lo avevo apertamente sfidato (attraverso i miei articoli su Sole-24 Ore, la mia trasmissione su Radio24 “Un abuso al giorno” e questo blog) a diffondere e rendere noto il rapporto sulle mafie che aveva commissionato all’Osservatorio sulla legalità. Risposte: zero. Marrazzo se ne fregò tre quarti e – a oggi – i risultati di quel lavoro sono sconosciuti ai laziali. Polverini le faccio una proposta: vuole spedirmi quel rapporto? Giuro che lo pubblico io per intero sul mio blog (uno strumento in più di diffusione) e lo commentiamo insieme. Del resto questo blog a questo serve: criticare e dialogare con un impegno: costruire nel rispetto dei ruoli e non distruggere.

In attesa di tanta grazia, eccovi in esclusiva la sintesi dei sostituti procuratori nazionali antimafia Roberto Alfonso e Diana De Martino (finora rimasta nei cassetti della Direzione nazionale antimafia) che traggo dalla lettura del rapporto di fine 2009 della Dna (ed è solo la sintesi, figuratevi la relazione per intero che ho avuto il dispiacere di leggere…)

“…nell’ultimo anno infatti, penetranti inchieste giudiziarie hanno evidenziato l’interesse delle consorterie mafiose a costituire articolazioni logistiche nel Lazio e soprattutto a Roma, e ad utilizzare le opportunità economico-commerciali per il reinvestimento di profitti illecitamente accumulati o per l’avvio di attività imprenditoriali.

In particolare il territorio romano sembra essere stato scelto dalle organizzazioni criminali per proficue iniziative finanziarie, volte ad occultare i patrimoni illeciti attraverso sofisticate iniziative, che rendono particolarmente complessa l’azione di contrasto. Proprio le indagini svolte dalla Dda hanno consentito di accertare che alcuni dei più noti locali romani fossero gestiti da prestanome di Alvaro Vincenzo di Cosoleto.

Sempre sul versante romano, l’indagine nata dalle dichiarazioni di Giuliano Salvatore ha evidenziato la presenza, nel quartiere Esquilino, di un gruppo camorrista che aveva realizzato il controllo di tutto il settore dell’imprenditoria commerciale cinese.

Per quanto riguarda la criminalità negli altri circondari, si sottolinea come l’inchiesta giudiziaria su Fondi abbia messo in luce il controllo esercitato dai fratelli Tripodo - appartenenti alla ‘ndrangheta e soci occulti di alcune imprese di ortofrutta - sul Mof, sia decidendo quali operatori commerciali potessero accedere al mercato, sia rapportandosi ai concorrenti e ai debitori con il metodo mafioso.

La medesima inchiesta ha accertato la penetrazione del sodalizio diretto da Tripodo nell’amministrazione comunale: ed infatti, a fronte del patto elettorale stretto da Izzi Riccardo (assessore ai LL.PP., risultato primo degli eletti) con tale consorteria criminale, le imprese ad essa riconducibili erano sistematicamente individuate, in assenza di evidenza pubblica, quali contraenti del Comune.

Nel circondario di Latina una recente inchiesta ha evidenziato la presenza di un gruppo criminale, particolarmente violento, legato alla famiglia Schiavone dedito ad estorsioni. A Cassino, è stata sbaragliata l’organizzazione camorrista capeggiata da Gennaro De Angelis dedita ad una imponente attività di importazione e commercializzazione di autovetture estere, destinata a realizzare ingenti guadagni attraverso collaudate metodologie criminali.

Si conferma anche per quest’anno l’espansione in tutto il distretto del traffico degli stupefacenti, a cui un numero sempre maggiore di associazioni criminali locali si dedicano, in collaborazione con i gruppi criminali stranieri (soprattutto colombiani e nigeriana) e con i gruppi mafiosi di origine meridionale.

Il Lazio, a riprova della diffusione delle sostanze stupefacenti, detiene il triste primato di aver avuto, nel 2008, il maggior numero di decessi per droga (87 casi). La Dda ha recentemente riservato particolare attenzione al settore del contrasto patrimoniale alle organizzazioni mafiose. Nel periodo in esame la Dda di Roma ha avanzato 22 proposte di applicazione di misure di prevenzione patrimoniale ex legge n.575/1965 che hanno portato a provvedimenti di confisca di patrimoni di ingente valore. Inoltre, ogni richiesta di misura cautelare personale è accompagnata, quando le indagini evidenziano la disponibilità di beni da parte degli indagati, da una misura cautelare reale finalizzata alla confisca penale o alla confisca ex art. 12-sexies.

Per quanto riguarda poi l’attività di collegamento investigativo presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, si rappresenta che lo sviluppo delle indagini e l’andamento dei processi in fase di giudizio sono stati seguiti da questo ufficio sia partecipando alle riunioni che si sono svolte presso la Dda di Roma, sia attraverso incontri con i singoli magistrati. In tal modo la Direzione Nazionale Antimafia è sempre stata in possesso di notizie aggiornate sulle indagini, potendo così segnalare l’esistenza di indagini collegate con altre in corso presso altre Direzioni distrettuali, e procedere, se necessario, alle opportune attività di coordinamento. Tra queste si segnalano quelle curate nei procedimenti riguardanti le infiltrazioni mafiose nel mercato ortofrutticolo di Fondi e in altri mercati, nei procedimenti riguardanti la penetrazione delle organizzazioni calabresi nelle imprenditoriali romane, nei procedimenti riguardanti il narcotraffico attuato da organizzazioni serbo-montenegrine”.
IL CASO DI FONDI

E chiudiamo come la Direzione nazionale antimafia chiude: Fondi e il suo mercato ortofrutticolo. A Fondi la camorra e la ‘ndrangheta si respirano più dell’aria e il consiglio comunale, guidato dal Pdl, è tornato alle elezioni non perché sciolto, come pure avrebbe dovuto essere a detta dell'ex prefetto e di migliaia di osservatori, per infiltrazioni mafiose, ma perché il senatore del Pdl Claudio Fazzone aveva preferito le dimissioni dei consiglieri della coalizione, oltretutto stanco di un lungo tira-e-molla che aveva coinvolto anche il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, accusato da molti di difendere la coalizione in vista delle imminenti elezioni regionali.

C’è poco da aggiungere – rispetto a quanto scritto dai magistrati antimafia e rispetto a quanto, con dovizia di particolari ho scritto io nel recente passato nelle mie inchieste su Fondi e il suo mercato – se non alcune cose.

Non mi risulta che mai né la Polverini né Bonino abbiano affrontato questo drammatico tema nel corso della loro campagna elettorale. Magari sbaglio e sono pronto a correggermi. Anzi. Latina Oggi - quotidiano della provincia che si dichiara indipendente e a quanto mi risulta fa capo a tal Giuseppe Ciarrapico, indimenticato personaggio della Prima Repubblica, a quanto sintetizza Wikipedia entrato e uscito dalle patrie galere, assolto, ma anche condannato in via definitiva diverse volte, la cui definizione storica nell’enciclopedia internettiana Wikipedia che ne ha tratteggiato la biografia è riassunta in “tra fascismo e andreottismo”, eletto infine come senatore nel 2008 nelle file del Pdl – il 15 gennaio spara a pallettoni tipografici. Quel giorno titola: “Gaffe Polverini – La candidata alla presidenza del Lazio si chiede: Fazzone chi? – Evidente amnesia – Solo sei giorni fa Renata era seduta accanto al leader del Pdl a Latina”.

Pochi giorni prima una domanda di una collega del Riformista, Tonia Mastrobuoni - che le chiedeva conto se non fosse imbarazzata dalla presenza di Fazzone nella sua coalizione, visto le sue prese di posizione sul caso Fondi che non è stato sciolto per mafia a dispetto dei Santi e delle evidenze dell’(ex) prefetto Bruno Frattasi - Polverini aveva perso le staffe e rimandato al sito del Pdl per aver maggiori dettagli. Per raccomandazioni all’interno di una Asl, informa sempre Latina Oggi il 17 febbraio, Fazzone sarebbe nuovamente indagato.

Credibile che Polverini non sapesse chi è Fazzone? Assolutamente no. Anche i sassi sanno a Roma chi è Fazzone, ex poliziotto, nella scorta dell’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, ex presidente del consiglio regionale nel 2000, poi senatore nel 2006, confermato nel 2008, stravotato a Latina e provincia. Ma Polverini si sveglierà successivamente, in tour elettorale. Ecco la cronaca di Andrea Palladino sul Manifesto del 14 febbraio. “L’entusiasmo dei fans di Fazzone è scattato, però, quando il candidato sindaco ha attaccato chi ha scritto e raccontato le storie delle cosche e delle mafie di Fondi: «Ho sentito il peso di due anni di insinuazioni, scritte e raccontate – ha concluso il suo intervento De Meo – che mi hanno lasciato amarezza». Renata Polverini sorride, guarda il pubblico sapendo che è da qui, da Fondi, dal clan del Ras che oggi siede al Senato che potrà venire il pacchetto di voti che contano, che possono compensare quelli del Pdl romano, da ieri ufficialmente persi dopo la decisione finale dei magistrati.
Guardando il migliaio di persone che sedevano davanti a Fazzone e a Polverini si riesce a percepire il peso che il senatore fondano ha costruito con cura maniacale. Nel 2000 e nel 2005 già era stato il consigliere regionale più votato d’Italia, superando ampiamente le 30.000 preferenze. Ci sono intere famiglie, organizzate, che obbediscono al comando dei galoppini elettorali. Sanno quando applaudire, quando alzare le bandiere, quando gridare il nome del loro lider. Intorno c’è un imponente sistema di sicurezza, body guard muscolosi, con auricolare, attenti a mantenere un ordine perfetto. Ci sono poi le società che curano gli allestimenti, con una curiosa regia video, dove capeggiava il logo della Regione Lazio sui monitor. Forse Fazzone si sente già dentro il palazzo del consiglio, o magari assessore di peso. O forse è un logo messo solo per mostrare che il traguardo è vicino.
E’ ora di cena quando tutti escono. Renata Polverini ha finito il suo intervento, evitando accuratamente le parole sulla legalità violata con il mancato scioglimento della giunta Parisella. Claudio Fazzone saluta, bacia, risponde, stringe le mani. Guarda chi c’è, misura il peso che ancora mantiene nella città. E sa che Renata Polverini non potrà fare a meno di lui e dei voti pesanti della città di Fondi”.

Se lo sanno a Roma, figuriamoci a Latina dove in pratica a destra non si muove foglia che lui (politicamente) non voglia. A Fondi il Pdl, di cui Fazzone è coordinatore provinciale non ha vinto: ha stravinto. Anche personalmente Fazzone ha vinto: con 28.817 voti è stato il più votato per il consiglio regionale laziale, anche se si lamenta….

PEDICA: COMUNQUE SIA ANDATA E’ UN (IN)SUCCESSO…

A Fondi ha votato una percentuale bulgara: l’81,50% dei 25.438 aventi diritto. Salvatore De Meo, candidato per il centro-destra, ha preso il 55,60% dei voti: eletto senza passare per il ballottaggio. Maria Civita Paparello, che correva con il centro-sinistra ha preso il 22,21% dei voti.

Ma l’exploit è stato quello del candidato sindaco per l’Italia dei valori Stefano Pedica. Ma sì, ricordate quel Pedica, senatore, capo della segreteria politica dell’Idv, segretario regionale nel Lazio del suo partito, quello che il 24 luglio 2009 aveva interrotto la conferenza stampa del ministro all’Istruzione Mariastella stellina Gelmini per gridare la sua rabbia contro il mancato scioglimento di Fondi, quello che la settimana dopo con altri due colleghi dell’Idv aveva occupato per lo stesso motivo la sala stampa di Palazzo Chigi, quello che aveva strillato come un’aquila fuori del Parlamento chiedendo lo scioglimento per mafia del Comune di Fondi?

Sì proprio lui! Quello che voleva un magistrato alla guida del Mof e un prefetto all’assessorato comunale alla legalità a Fondi! Un pazzo, un pazzo, solo un pazzo può chiedere questo…Ma come? A Fondi, dove le cosche calabresi Gullace e Tripodo (solo per fare i primi due cognomi che mi vengono in mente) godono e fanno affari da mane a dì, dove il clan dei Casalesi sverna che è un piacere! A Fondi, dove anche in piena campagna elettorale sono stati sequestrati beni a un clan camorristico! Ma Pedica! Pedica! Ma mi facci il piacere Pedica!

Il suo è stato un (in)successo straordinario (alla fine di questo post vedrete i numeri) che la dice lunga sulla sensibilità al tema delle mafie di questo Paese.

Bene. Sono andato a leggermi i programmi di questi tre candidati sindaci a Fondi.

Il programma di 9 pagine di De Meo (“Io sì, con voi”, chissà che cosa avrà voluto dire n.d.a.) non contiene neppure un-accenno-uno ai temi della pervasività delle mafie, dell’illegalità diffusa sul territorio, dei condizionamenti della camorra e della ‘ndrangheta sull’economia, sugli attentati che perseguitano gli imprenditori fondani. Zero carbonella. De Meo è ex assessore all’Urbanistica. Questo è, secondo Andrea Palladino che ne ha scritto sul Manifesto del 14 febbraio, quanto avrebbe dichiarato De Meo nel corso di un comizio: «Dobbiamo rivedere, con l’aiuto della Regione Lazio, gli usi civici della zona del litorale». “Ovvero – scrive Palladino - quel pezzo di costa che in tanti vorrebbero pronta per speculazioni edilizie milionarie, dove, fino ad ora, la Regione Lazio ha tutelato quello che ancora rimane del paesaggio straordinario di questo pezzo di Mediterraneo”. Sono certo che De Meo smentirà questo losco presagio di un giornalista “comunista”.

Il programma della Paparello almeno un passaggio, forte, lo aveva. Eccolo: “1) Piena collaborazione con la Procura, la Prefettura, la Questura e le forze di polizia provinciali per difendere con fermezza il nostro territorio. Il livello di infiltrazione malavitosa nel tessuto urbano è preoccupante e richiede decise iniziative istituzionali a partire dall’amministrazione comunale, a tutela del sano tessuto sociale fondano; 2) Riorganizzazione dell’apparato comunale secondo rigorosi criteri di rispetto delle norme amministrative, di efficienza e di trasparenza per ridare piena dignità ed equità di trattamento a tutti i cittadini; 3) Destinazione a scopi sociali dei beni confiscati alla mafia sul nostro territorio, di concerto con l’Agenzia Regionale”. Meglio che niente…meglio. Ammesso e concesso che – come sempre – si tratta di parole, parole, parole…Ma l’Oscar dell’”ignorante” durante questa campagna elettorale a Fondi se lo è aggiudicato proprio Pedica. Oh gia!

Ma cosa gli avrà detto mai il cervello a Pedica che voleva andare a fare un comizio elettorale al Mercato ortofrutticolo (il Mof oggetto di inchieste continue da parte della magistratura per le continue accuse di infiltrazioni ‘ndranghetistiche e camorristiche all’interno e all’esterno)! Ecco come gli hanno rotto le ossa (verbalmente parlando) a Pedica per quell’improvvida e indegna provocazione all’illibatezza e integrità morale di certi fondani: “Ringrazio le persone che non mi fanno andare al Mof – sarà costretto ad annunciare ai media locali - che hanno pensato di minacciarmi, perché facendo questo dimostrano che quello che noi diciamo da più di un anno su Fondi è vero. Io sono un candidato di rottura. Di rottura di un sistema che va smantellato e che solo i cittadini possono fare tramite il voto”.

Pedica, di sicuro, ha rotto…Ha talmente rotto che ha preso 175 voti, pari allo 0,70% e l’Idv si è fermata a 103 voti, pari allo 0,42%. Più rottura di così….E poi c’è chi dice che nel Lazio, a Roma e a Fondi esiste la mafia…Disinformati, ecco cosa siete, disinformati!


p.s. Dimenticavo un piccolissimo particolare: secondo voci ricorrenti Claudio Fazzone è un serio candidato al ruolo di assessore regionale alla Sanità della Regione Lazio.

p.p.s. Bruno Frattasi, il prefetto che aveva osato scrivere di infiltrazioni mafiose nel consiglio comunale di Fondi con un “appunto” di 500 pagine che si concludevano con la richiesta di scioglimento, è stato rimosso e promosso: dal 10 dicembre è Direttore dell’ufficio per il coordinamento e la pianificazione delle Forze di Polizia al Viminale.


Dal blog di Roberto Galullo

L'affruntata e i veri sfrontati

L'affruntata, celebrata nel paesino calabrese di Sant'Onofrio, è diventata simbolo della lotta alla 'ndrangheta dopo la decisione di impedire alle “persone chiacchierate” di portare le statue in processione e le intimidazioni ricevute dal priore della confraternita.

"Una processione non deve diventare simbolo della lotta alla criminalità ma certo un segnale forte è stato dato”, dice Don Vattiata, che non condivide la lettura di chi parla di un successo a metà, di molta gente rimasta a casa per paura.

“La paura – premette Don Antonino - è un sentimento normale: non mi sento di condannare i santonofresi che ieri non sono venuti in piazza. E' normale in un territorio permeato da una criminalità che è spavalda, arrogante e che per esempio ha minacciato anche me negli ultimi giorni per l'attività che svolgo con Libera. Rimane il fatto – prosegue Don Vattiata - che la piazza ieri era piena così come avviene ogni anno. Anche la chiesa era affollatissima. Non solo, abbiamo ricevuto l'abbraccio e l'incoraggiamento ad andare avanti anche da parte della gente semplice, degli anziani, delle persone che comunque hanno sfidato a viso aperto, partecipando alla processione, certe logiche mafiose. Per me il risultato è positivo, la maggioranza delle persone non ha ceduto alla paura”.

Il difficile – secondo il prete di Libera – arriva adesso: il rischio è che, spenti i riflettori dei media nazionali, tutto torni come prima e il segnale positivo si ripieghi su se stesso. Peggio: “Non sono da escludere rivendizioni o rappresaglie: l'attenzione deve rimanere massima oggi, domani e tutti i giorni a venire”. La tentazione da parte dello Stato centrale, invece, può essere quella di chiudere gli occhi, di disinteressarsi di Sant'Onofrio, del vibonese e di tutta la Calabria: “Le intenzioni del prefetto di Vibo Valentia, Luisa Latella – argomenta don Vattiata - sono assolutamente buone ma da sola può risolvere poco. Qui c'è un altro problema: il governo centrale dov'è? Lo Stato a livello verticistico dov'è? Perché, a seguito di questi fatti, non sta potenziando l'organico della Magistratura e delle forze dell'ordine? Perché non fa un discorso serio per Vibo Valentia come accade per Caserta o Reggio Calabria?”.

Interrogativi pesanti come pietre.

Geronzi e Generali, la fase buia del paese continua...

Alla fine ce l’ha fatta. Dopo settimane di gossip finanziario e di smentite dello stesso interessato, Cesare Geronzi sarà il nuovo presidente del Gruppo Generali. Questo almeno ha deciso Mediobanca, principale azionista del colosso assicurativo.

Tralasciamo considerazioni sui giochi di potere, le relazioni personali, le simpatie e le antipatie che serpeggiano nei piani alti della finanza, di cui sono piene le pagine dei giornali. Va da sé che in quella posizione Geronzi saprà meglio difendersi dalla sue beghe giudiziarie, se per caso dovesse andare in porto la condanna per bancarotta nel crak Eurolat-Parmalat. Un’eventualità che avrebbe potuto spodestarlo dalla presidenza di Mediobanca, viste le stringenti norme bancarie in tema di requisiti di “onorabilità”.

Per le assicurazioni invece sarà il ministro Scajola a fissare tali criteri, ma guarda caso non prima di giugno, ossia dopo l’incoronazione di Cesare all’assemblea del Leone del 24 aprile prossimo. E anche qualora la legge dovesse stringere le maglie sui criteri, non avrà comunque effetti retroattivi. Anche perché il governo ha bisogno di un collegamento stabile con una delle maggiori cassaforti del paese, in vista delle “grandi opere”.

Pochi tuttavia hanno messo in luce il problema di fondo, tra i quali Repubblica. Ovvero l’enorme concentrazione di potere economico (e politico) che gravita intorno all’asse Mediobanca-Generali. Da vent’anni le stesse aziende e le stesse persone si spartiscono immense risorse. Lo spiegava l’Antitrust nel gennaio 2009: il 93% del settore assicurativo registra legami personali con altre imprese finanziarie. I signori Galateri di Genola, Caltagirone, Della Valle, Del Vecchio, Nagel, Ligresti, Tronchetti Provera, Benetton e la signora Marina Berlusconi, solo per fare qualche nome tra i consiglieri di Generali e Mediobanca, siedono nei consigli di amministrazione di decine di altre società, spesso intrecciate sul piano azionario. E in gioco non è solo la concorrenza: in un paese dove i due terzi del mercato sono appannaggio di una decina di gruppi viene intaccato il concetto stesso di democrazia.

Quindici o venti società hanno messo le mani – direttamente o indirettamente – su una ricchezza difficile perfino da calcolare, inimmaginabile prima dell’avvento del sistema “bancocentrico”. So che mi sto avventurando su un tema fuori moda, ma non è un segreto che la spartizione del potere e delle risorse continui ad essere il principio guida della finanza che conta. E non vedo cos’altro. I cambi di poltrone servono semmai a consolidare l’equilibrio raggiunto. Solo i più noti gruppi finanziari della galassia in questione, ossia Generali, Mediobanca, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Fondiaria Sai, Mediolanum e Mps, intrecciati tra loro in vario modo, gestiscono investimenti per 2.360 miliardi di euro, una cifra maggiore del Pil italiano (a quota 1.500 miliardi). Senza contare i gruppi industriali e immobiliari.

A gestire queste risorse – frutto dei risparmi degli italiani che aprono conti correnti, acquistano polizze o fondi di investimento - sono un pugno di top manager. Forse 50 o 60 persone alle dipendenze dei grandi azionisti, che hanno voce in capitolo nelle strategie di investimento e fanno shopping sui mercati mondiali di azioni, obbligazioni, terreni, immobili e intere società, influenzando le politiche economiche degli stati e i processi di privatizzazione in corso. In Europa orientale, in America latina e in Cina, ad esempio, Generali si sta accaparrando pezzi di previdenza pubblica approfittando dello smantellamento dei sistemi di welfare. Mai tanto potere è stato concentrato nelle mani di un’elite, che nessuno ha eletto e che non risponde a nessuno, se non ai pochi grandi azionisti che li nominano. Non conoscono le “esternalità” delle loro strategie, ossia le ricadute sociali dei loro investimenti, ma solo il rendimento.

Da questi meccanismi nasce ciò che Luciano Gallino chiama l’impresa “irresponsabile” e gli esempi si sprecano, dal sostegno alla produzione di armamenti al finanziamento del nucleare – attraverso il massiccio sostegno finanziario di Unicredit-Intesa alla triade Eni-Enel-Finmeccanica – fino alle grandi opere insostenibili e alla cementificazione del territorio, per non parlare del sostegno sistematico all’evasione fiscale attraverso la fitta rete di filiali offshore. La galassia Mediobanca-Generali è anche questo e, a differenza del periodico balletto tra poltrone, ci riguarda tutti.


da finansol.it

L'imprenditore della libertà

E' dal 1994 che domina la scena politica nazionale. Le parole d'ordine sono impresa e libertà.

Il risultato? Per gli ostacoli e i vincoli legati a pressione fiscale, spesa pubblica, regolamentazione, qualita' delle norme, leggi sul lavoro, ''L'Italia e' il Paese meno libero di Europa dal punto di vista economico''. Emerge da una indagine di Confindustria.

''In Europa le nostre imprese - emerge dallo studio - in una scala da zero a cento godono di una liberta' pari a 35, ben sotto la media europea (57) e a distanza siderale dal Paese piu' libero, l'Irlanda (74)''.

L'Italia, tra le cinque aree prese in esame, e' sempre nelle ultime posizioni in graduatoria (con l'eccezione della ''liberta' del lavoro'') ed e' ultima per ''liberta' dal fisco'' e per ''liberta' dalla regolazione''.

Un bel lavoro, bravo...

L'arbitrio di Sacconi

E' uno che all'ultima celebrazione in memoria di Ezio Tarantelli è riuscito a far cadere sulla CGIL qualche velata accusa per il clima violento degli anni di piombo....

Niente male per un ex direttore della sezione italiana dell'Organizzazione internazionale del lavoro. Parliamo del ministro Sacconi, sì, proprio lui.

Quello che ora ha introdotto l'arbitrio nelle controversie di lavoro. C'è una i di troppo? Non so, leggete il bell'articolo di Andruccioli su sbilanciamoci.info e poi ne riparliamo...

Gli ispettori di Mr. Angie

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, invia ispettori a Milano dopo le dichiarazioni del procuratore aggiunto di Milano, capo del pool specializzato in molestie e stupri, sui sacerdoti coinvolti in reati sessuali.

A questo punto, visto l'attivismo di Mr. Angelino, speriamo indichi pure ai suoi ispettori di verificare che venga aperto un fascicolo dalla magistratura sul presidente della pontificia accademia per la Vita, monsignor Fisichella, che ha mostrato il suo pubblico apprezzamento per le posizioni del neo governatore del Piemonte Roberto Cota, che all'indomani della sua elezione ha espresso l'intenzione di «mantenere la pillola nei magazzini», dunque di violare la legge.

L'apologia di reato merita gli ispettori almeno quanto il libero pensiero, Mr. Angie?

Come Obama

Fino a ieri sera si poteva ancora sperare che fosse un pesce d'aprile. Invece no.
Lo dicono sul serio: siccome va su Facebook, Berlusconi è un po' come Obama.
Dopo lo stupore iniziale ho capito.
Effettivamente similitudini tra grandi statisti, anche dal passato, ce ne sono.

Perchè, Benito Mussolini non era un po' come Franklin Delano Roosevelt?
Se avete dubbi pensate alla passione che avevano per l'altalena (il primo però a testa in giuù).

Adolf Hitlter e Charles De Gaulle erano molto simili.
Infatti entrambi amavano gli aerei (il primo per bombardare i civili).

Per finire, ma si potrebbe andare a lungo avanti, non resta che commuoversi al ricordo delle affinità tra John Fitzgerald Kennedy e Amintore Fanfani. Pare, infatti, che anche il più piccolo Presidente del Consiglio italiano della storia amasse Marilyn Monroe...

Un buon governo (armato)

L'industria militare italiana fa il botto. Ammontano infatti a 4,9 miliardi di euro le autorizzazioni all'esportazione di armamenti rilasciate dal Governo nel 2009 alle aziende del settore con un incremento di ordinativi internazionali (il 61%) sconosciuto ad altri settori dell'industria nazionale. Ed hanno superato quota 2,2 miliardi di euro le effettive consegne di materiali militari. Un duplice record che annovera il BelPaese tra i big player in quello che il "Rapporto della Presidenza del Consiglio sull'esportazione di materiali militari" pubblicato ieri definisce il "mercato globale" degli armamenti (pg. 25).

Un nuovo record ottenuto soprattutto grazie alla commessa da oltre 1,1 miliardi di euro da parte della Al-Quwwat al-Jawwiyya al-Sa'udiyya, la Reale Aeronautica Saudita per i caccia multiruolo Eurofighter Typhoon (EFA). Un colossale e torbido affaire ben descritto dall'approfondita analisi di Giorgio Beretta.

La trovate qui.

Papillon a Ponte Galeria

Sono in isolamento i detenuti che hanno capeggiato la rivolta di stanotte nel centro di identificazione e espulsione di Roma, a Ponte Galeria. Una ventina in tutto, identificati dalle telecamere a circuito chiuso, potrebbero essere nelle prossime ore arrestati per i danneggiamenti causati nella notte. La notizia è stata fornita a Redattore Sociale direttamente dai detenuti del Cie romano.

“È iniziato tutto verso le 22,30 – racconta R. - quando la polizia ha picchiato uno dei ragazzi che aveva tentato la fuga insieme a altri quattro o cinque che sono riusciti a scappare. Allora è esplosa la rabbia. Alcuni dei detenuti hanno iniziato a lanciare agli agenti delle bottigliette dell'acqua, poi hanno divelto le porte e i bagni, e hanno dato fuoco ai materassi e alle coperte e sono saliti sui tetti. Saranno stati una ventina di persone”.

B. invece ci ha confermato gli spari, registrati da una telefonata in notturna da radio Onda Rossa: “Hanno sparato cinque colpi in aria, perchè ci calmassimo”.

R. non ha dubbi: è la rabbia che è esplosa stanotte a Ponte Galeria. “Sono dieci giorni che sto dentro, e ogni giorno ne ho vista una. Chi si taglia con le lamette, chi minaccia il suicidio”. Lui è in Italia dal 1984, ed è appena uscito dal carcere per una condanna di un anno per spaccio. La sua paura più grande, paradossalmente, è di non essere rimpatriato. “Ma come? Dopo 26 anni in Italia non mi hanno identificato? E dopo un anno di carcere devo fare ancora sei mesi di detenzione, poi se non riescono a rimpatriarmi mi rimettono in libertà col foglio di via, che vale cinque giorni, e dal sesto giorno se mi fermano mi condannano per un altro anno, e poi dopo il carcere ritorno al Cie, non è possibile!”.

Intanto le celle della sezione maschile del Cie di Roma sono isolate una dall'altra. La tensione è ancora alta e le forze dell'ordine presidiano la struttura. Difficile avvio della nuova gestione del centro, che dal 2010 è passato dalla Croce rossa italiana alla cooperativa Auxilium (che già gestisce il centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Bari). Al Cie di Ponte Galeria, un anno fa, il 20 marzo del 2009, era morto un cittadino algerino di 42 anni per arresto cardiaco senza ricevere la dovuta assistenza medica.

Ma le tensioni non sono solo a Roma. Dall'entrata in vigore del pacchetto sicurezza, l'8 agosto 2009, il prolungamento del periodo di trattenimento nei Cie, passato da 2 a 6 mesi, ha generato proteste, rivolte e scioperi della fame nei centri di tutta Italia. L'ultimo a Milano, dove a marzo uno sciopero della fame dei detentui si era protatto per cinque giorni.

Decadenza, fascismi e tentennamenti

Dunque la decadenza lenta e velenosa del tele-dittatore comincia a
mostrare il suo lascito: il Piemonte e il Veneto sono leghisti, la
Lombardia resta ciellina, il Lazio è fascista. Sfumature di destra. Di
una destra che trova assonanze comuni nell'aggressività, fisica e
verbale, nella xenofobia, nell'omofobia e in un sapiente clericalismo.
Tra regioni del nord e del centro-sud, resta poi la differenza di come
il fenomeno corruttivo prende forma, spesso - va precisato -
indifferente ai colori di chi amministra.

Anche per questo non ci si può né stupire né rammaricare per la
perdita di Campania e Calabria, esempi di mal-governo del
centrosinistra.

Che deve smetterla di accontentarsi di apparire - ed essere - solo
'meno peggio' dell'avversario. Come dimostra la bella e determinata
vittoria di Vendola in Puglia.

Servirà questa nuova scossa al tentennante PD? Qualcuno troverà un po'
di coraggio?

Servono risposte, e Amleto non sembra aver più molto tempo per
riprendersi il regno...

Vigilare, vigilare

Ieri mattina nella sede del comitato elettorale di Renata Polverini,
in via Imbriani, il Popolo della Libertà ha tenuto un corso speciale
per i cinquemila "gladiatori del voto" che vigileranno sullo spoglio
delle schede e «preserveranno la chiara intenzione di voto degli
elettori del Pdl». L´indicazione dei dirigenti del partito è di «far
ritenere valide anche tutte quelle schede che riportino accanto alla
scelta di una lista che appoggia la Polverini anche il nome di uno dei
candidati della lista del Pdl esclusa».

Una indicazione che contrasta però con la circolare inviata venerdì
sera dalla Prefettura e in cui si precisa che «la giurisprudenza
prevalente del Consiglio di Stato è ferma nel ritenere che è nullo il
voto che contenga l´espressione di preferenza per un nominativo che
non corrisponda a quello di nessuno dei candidati, costituendo
siffatta erronea indicazione un palese segno di riconoscimento del
voto».

Non è un libro di Stefano Benni del 1988 o un brano da George Orwell.
No, è repubblica.it del 28 marzo 2010...

Vigiliamo, tutti.

Non c'è alternativa

Andare a votare, domani o lunedì, è una scelta ineludibile.

Perché non rischiamo di lasciare ai nostri figli la tragica eredità di
un neo-regime fascista.

No. Gli stiamo già lasciando gli effetti disastrosi di un grottesco
monopolio del ridicolo, che uccide il pensiero, le ambizioni, le
voglie di ogni popolo.

Votiamo, domani, e votiamo contro il PDL del miliardario ridens, la
Lega dei razzisti evasori, i fascisti che si annidano da entrambe le
parti.

Se non hai la fortuna - rara - di trovare, dall'altra parte, un
candidato e una coalizione degni di essere votati, vota 'contro'. Non
è bello come votare 'per', ma se pensi a Minzolini, Fede, Feltri,
Belpietro, Vespa, un godimento lo proverai lo stesso.

Obama, buona riforma?

La legge di riforma sanitaria firmata da Obama a Washington è complessa, ha elementi importanti, anche se non è quel salto di qualità che giustificherebbe l'appellativo "storico", abusato in queste ore in America e anche in Europa. Storica fu la riforma del Medicare e del Medicaid del 1965, firmata da Johnson. Quella di Obama è una riforma importante perché viene dopo diversi anni durante i quali non si è riusciti a fare molto sul fronte sanitario; una riforma che ha elementi potenzialmente buoni, se saranno applicati e sviluppati.

Ma per ora non innova molto. Estende l'esistente. Gli Stati Uniti hanno una sanità costosa, con 7500 dollari l'anno di spesa pro capite, più del doppio della media dei 30 paesi Ocse e ben più dei 4 mila dollari del vicino Canada. Gli Stati Uniti sono insieme a Turchia e Canada fra i tre, nell'Ocse, a non avere il single payer, cioè la cassa unica, che è la vera discriminante fra i sistemi. Un sistema può essere nella gestione dei servizi tutto pubblico, semipubblico, solo in parte pubblico, ma finché chi paga è uno solo, lo Stato, con opportune quote prelevate da tutti i redditi e da tutti i datori di lavoro, il sistema è pubblico, cioè single payer, con un responsabile centrale per la sanità. Oppure può essere a prevalenza privato, come appunto Stati Uniti, Turchia e Messico, dove Stato in parte e cittadini in gran parte concorrono alla spesa.

Il Medicare che assicura oggi l'assistenza a 45 milioni di over 65 o comunque anziani, o invalidi ed equiparati, è un sistema single payer, il primo e per ora l'unico esistente negli Stati Uniti, nato come emendamento al Social Security Act del 1935, che si era fermato alle pensioni pubbliche. È diviso in tre gestioni diverse: assistenza medica, assistenza ospedaliera e copertura farmaceutica. È finanziato con un prelievo dell'1,45% sul lavoratore e altrettanto sull'impresa, o del 2,90 sul lavoratore autonomo. Si può avere il Medicare anche prima dei 65 anni o comunque della pensione, nel caso delle dialisi e di alcune altre condizioni cliniche o malattie. Ci sono limiti di spesa per la degenza in cliniche specializzate, che non può superare i 100 giorni e con un ticket di 133 dollari al giorno per quelli successivi ai primi 20. Chi vuole stare tranquillo aggiunge al Medicare una polizza privata integrativa. I costi complessivi del Medicare sono raddoppiati ogni 4 anni dal 1966 e hanno sfiorato i 600 miliardi nel 2008, il 20% della spesa federale.

C'è poi il Medicaid che non è proprio un single payer, ma un dual payer, perché i costi sono divisi tra casse federali e statali. È comunque un public payer. Varato ugualmente nel '65 da Johnson, e ugualmente un emendamento al Social Security Act, cambia spesso nome nei vari Stati, ma funziona con gli stessi principi. Assiste in totale 49 milioni di americani, dei quali quasi 7 hanno anche il Medicare, è costato 204 miliardi nel 2008 ed è riservato non a tutti i poveri ma ad alcune categorie a bassissimo reddito: bambini e i loro genitori, donne incinte e neo-madri, invalidi.

C'è poi il sistema sanitario per i militari e reduci e le loro famiglie, anche questo single payer. Circa 170 milioni di americani, il 58%, hanno una polizza privata, 20 milioni stipulata direttamente e il resto via programmi legati al lavoro.

La riforma di Obama non estende il sistema pubblico, o single payer, ma estende questo sistema privato rendendo obbligatorio per circa 32 milioni dei 45 che oggi non hanno assicurazione l'acqusito di una polizza privata. Non fornisce come promesso in campagna elettorale e anche dopo (ma sempre con prudenza da Obama) una public option, la possibilità cioè di acquistare una polizza emessa da un ente pubblico.

Aiuta i redditi più bassi con un contributo al pagamento del premio. In più mette una serie di limitazioni al comportamento delle compagnie, in cambio del fatto che queste si troveranno a partire dal 2014 con 32 milioni circa di nuovi clienti in più: non potranno ad esempio rifiutare una polizza a chi ha una storia medica preesistente, ad esempio ha avuto un infarto, né potranno più rifiutare le cure a chi improvvisamente contrae una malattia costosa.

Si tratta di vedere però come queste regole verranno monitorate e rese coercitive, in contratti che restano privatistici e possono sempre essere impugnati davanti al giudicie. E che effetto questo avrà sul costo delle polizze. La riforma Obama non è un secondo cambiamento (dopo Medicare e Medicaid) del sistema sanitario americano in senso più pubblico, ma una estensione dell'attuale sistema privato a gran parte di chi fino ad oggi ne era sprovvisto.

Social lending, peer to peer, l'anti-banca?

Un bel dibattito, su una di quelle innovazioni che farà parlare ancora tanto di sè.
Se non ci credete, approfondite e fatevi un'idea.
Ne riparleremo...

Conflitti di interesse? Nooooooo

Silvio Berlusconi e' il più ricco tra i deputati e guida la top ten dei milionari di Montecitorio, staccando di ben 18 milioni di euro il suo più vicino inseguitore, Santo Versace.


In base alla dichiarazione dei redditi 2009 e' tutta targata Pdl la classifica dei 10 deputati più ricchi; tra questi, ben rappresentati gli avvocati-parlamentari. I


l premier in un anno ha accresciuto il proprio reddito di circa nove milioni.


A quando il tempo dei forconi?


Finanza armata, ancora...

Al risparmiatore può capitare di finanziare le fabbriche d'armi, senza saperlo. E nei fondi di investimento si annida il rischio. È quanto emerge dalla ricerca condotta dall'Osservatorio sul commercio di armi di Ires Toscana, che ha analizzato 417 fondi italiani: ben 288 contengono azioni di aziende a produzione militare. "Abbiamo preso in considerazione i primi 50 titoli in cui è investito ciascun fondo - spiega Chiara Bonaiuti, coordinatrice della ricerca - e li abbiamo incrociati con le prime 100 aziende produttrici di armi elaborato dal Sipri (Stockholm international peace research institute)". In particolare, sono 85 i fondi che hanno titoli di Finmeccanica, all'ottavo posto nella classifica del Sipri, per un totale di quasi 5 miliardi di euro.

Non è facile per un risparmiatore sapere se i suoi soldi vengono utilizzati per finanziare il settore delle armi. "Quello che ciascuno può fare è chiedere alla propria banca più trasparenza - spiega Chiara Bonaiuti -. Bisogna pretendere che di ogni fondo siano specificati i titoli in cui sono investiti e poi fare le opportune ricerche". Inoltre, bisogna informarsi se la propria banca ha adottato dei criteri per la sostenibilità dei fondi. "Per ora sono poche le banche che hanno fatto questo passo", aggiunge Chiara Bonaiuti.

I risultati completi della ricerca, che analizza diversi aspetti del rapporto fra banche, finanza e commercio delle armi, verranno presentati a Terra futura (28-30 maggio a Firenze). I dati sui fondi di investimento sono stati anticipati, invece, in un incontro nell'ambito di "Fa' la cosa giusta!", la fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili che si è tenuta dal 12 ai 14 marzo scorsi.

40 associazioni in 4 chilometri

Via Padova, fino a una decina d'anni fa, era una strada piena di vetrine chiuse.

Oggi è un susseguirsi di panetterie, negozi, parrucchieri cinesi, bar e macellerie halal dove si possono incontrare anche i pensionati che lì trovano carne di qualità a basso prezzo; l'esperienza della Casa di Cultura islamica dove si fa la preghiera in italiano e si invitano le famiglie musulmane a mandare i bambini nelle scuole pubbliche; un tessuto civile e solidale nato dal basso, nell'indifferenza delle istituzioni e dei partiti; il problema della sicurezza, ma ancor più del degrado e la preoccupante condizione di tanti giovani immigrati lasciati in balia di se stessi e fatalmente attratti dalle bande di strada.

Bella l'intervista a Matteo Speroni, Barbara Pianura, Asfa Mahmoud e Massimo Conte pubblicata su Una città.

Questione d'interpretazione

Prima di applicare il settimo comandamento, leggete bene il decreto interpretativo. Serve un decreto interpretativo per gli appalti in Abruzzo, per le belle scopate di palazzo Grazioli, per lo schiavismo a Rosarno, per i senatori del Pdl eletti dalla 'ndrangheta. Per il coro di Ratisbona e per i gay a tassametro del Vaticano.

Per Maroni che dice «è stata data una interpretazione autentica della legge», urge un decreto interpretativo che lo faccia sembrare una persona seria. Il decreto interpretativo che rende regolari i fuorigioco del Milan dovrà essere rapidissimo, mica si può restare allo stadio al freddo due giorni ad aspettare il Tar. Con un buon decreto interpretativo la bella Noemi avrebbe avuto 18 anni già a sedici e mezzo. Formalmente ineccepibile il decreto interpretativo con cui Minzolini ha trasformato un colpevole prescritto in un innocente. Un decreto interpretativo potrebbe far sembrare un golpe una specie di trionfo della democrazia, o trasformare la corruzione in soluzione all'emergenza.

Il disprezzo della legge, l'arroganza del più forte, la dittatura soft, la censura e i non allineati ridotti al silenzio, non c'è nulla che non possa risolversi con un decreto interpretativo. Probabile che il ministro della difesa di una democrazia occidentale, che comanda parà e carri armati, che si dice «disposto a tutto» non venga allontanato con vergogna soltanto grazie a un decreto interpretativo.

Le nostre speranze, i nostri diritti, la nostra libertà, le nostre regole, le norme, i doveri, sono da oggi variabili, modificabili con decreto interpretativo, le nostre vite stesse sono interpretabili a seconda delle necessità del regime, il nostro futuro e la nostra dignità sono interpretabili a piacere e non servono nemmeno la forestale, i servizi segreti, l'aviazione, le camicie verdi, le ronde, i poliziotti del G8 di Genova.

Una grande festa del decreto interpretativo si terrà ogni anno, basta una telefonata di Denis Verdini. Buffet a cura del genero di Gianni Letta. Napolitano firma. Avete mica un passaporto francese da prestarmi?

Alessandro Robecchi

Qual è il linguaggio della sinistra?

«Non può dirsi popolare un partito che non riesce a parlare con chi guarda Rete 4». Lo ha detto il nuovo segretario del Pd Bersani nel suo discorso di insediamento, ed è una frase nevralgica. Fotografa la fatica, e forse l´angoscia, di un partito che si sente scalzato, se non dall´anima popolare del Paese, da alcune delle sue pulsioni e perfino delle sue abitudini. Un partito di insegnanti, di amministratori, di piccoli intellettuali, di ceto medio più o meno riflessivo, che pur contando su molti milioni di elettori sente sfocato e quasi inerte il suo rapporto con quelle che una volta si chiamavano masse popolari; e oggi sono il magma confuso, e confondibile, dei consumatori, dell´audience, delle clientele pubblicitarie e politiche (meglio: delle clientele pubblicitarie promosse a clientele politiche dal febbrile e a suo modo geniale lavoro del partito-azienda).

Bersani ha ragione, e mette (anzi rimette) il dito nella piaga. Ma enunciare con schiettezza un problema, tra l´altro noto e oramai annoso, ovviamente non basta a risolverlo. Specie se la soluzione di quel problema va a toccare tutte, o quasi, le ragioni profonde di una crisi di linguaggio che, per la sinistra italiana e non solo, è pluridecennale. In estrema sintesi: se per farsi capire da chi guarda Rete 4 bisogna parlare come Rete 4, allora ogni differenza, culturale e politica, perde senso e valore. Allora - brutalmente - Berlusconi ha stravinto. Perché la "chiave" di quel linguaggio è la semplificazione, e il suo successo "popolare" dipende esattamente dalla riduzione della realtà a un gradevole, maneggevole accessorio. Mentre la "chiave", pesante come una croce, maledetta come un dovere, che la sinistra si porta in spalle, è la complessità.

È la cognizione che la realtà è una cosa complicata, che la sua lettura è una cosa complicata, e che il primo inganno da disinnescare, se si vuole provare a essere una comunità cosciente, è appunto la semplificazione in quanto tale: non solo e non tanto perché è strumento di propaganda, quanto perché in sé, nella politica come nella vita, la semplificazione è menzogna.

Il rovescio della medaglia, ben noto a chiunque faccia comunicazione o faccia politica o faccia, a qualunque titolo, lavoro sociale, è che la complicazione è complicata. Genera un linguaggio spesso criptico, spesso respingente, e nei casi peggiori altezzoso e inconcludente in pari misura: ciò che si riassume, volgarmente ma significativamente, nelle accuse di "snobismo" e di "antipatia" che oggi grandinano su molta sinistra e sugli intellettuali di ogni calibro, dall´accademico che si occupa di Rilke e non di Moccia, all´autore televisivo che preferisce invitare Ivano Fossati piuttosto che Pupo.

Tradotto in politica, proprio quella politica territoriale e popolare che a Bersani sta molto a cuore, questo significa che se la sinistra, per "farsi capire dal popolo", cerca di fronteggiare il breviario di slogan oggi in corso con un contro-breviario di slogan alternativi, e cerca di munirsi di una contro-suggestione virtuosa da opporre alla suggestione berlusconiana, perde anche se dovesse vincere. Vale a dire: baratterebbe, per qualche voto in più, proprio quel residuo e prezioso patrimonio di pazienza intellettuale, di capacità analitica, che Bersani ha rivendicato, nella sua campagna per le primarie, come un valore identitario. Lo stesso Bersani, dichiarando recentemente che non sa cosa farsene di candidature puramente simboliche (stoccata al veltronismo), mostra di non gradire la politica-spettacolo, quella che sa guadagnarsi qualche inquadratura di telegiornale in più ma perde aderenza nella vita sociale, come un pneumatico di bella presenza ma di grip scadente.

Ma la politica della bella presenza, delle cerimonie edificanti, dei fondali color pastello, del cerone, delle frasi facili e delle soluzioni magiche, è esattamente il campo di battaglia dove più o meno tutti oggi ci si muove. Chi vuole entrare in quel campo, come tocca a Bersani e al suo Pd, con idee proprie e modi propri, deve sapere in anticipo che parte svantaggiato, che parte "antipatico", che lavora in salita.

Quando si dice che oggi, in Italia, il conflitto politico è prima di tutto un conflitto culturale, si vuole dire esattamente questo: che bisogna cercare di restituire allo sguardo pubblico una profondità sgradita. E nessuno più del "popolo" - come sapeva bene un tempo la sinistra - ha bisogno di sentirsi rispettato nel suo diritto di conoscenza e di cultura, piuttosto che relegato nel cliché, profondamente classista, di una massa immatura e bambina, da intrattenere e spremere con un palinsesto di sogni. Di destra o di sinistra, sempre sogni rimangono.

Michele Serra

Il tesoro delle coop

Le coop sono ricche, in Italia. Hanno una lunga storia, una tradizione di efficienza e cura del consumatore (socio) e questo disturba qualcuno. Così c'è sempre qualche liberal (o liberist) che si diverte a fargli le pulci, cercando di metterne in cattiva luce ruolo e funzione.

Così, nella speranza di generare dissenso sociale attorno a queste imprese (alternative), ora qualcuno ha scoperto quanto vale il tesoro dei prestiti sociali che le Coop raccolgono dai propri soci. Circa 12 miliardi di euro (come Banca Sella o il Banco di Sicilia) .

Così si scopre che il movimento cooperativo (si può ancora chiamare così) detiene il 3,62% del Monte Paschi di Siena, l'1,66% di Carige, il 5,5% di UGF (quasi ovvio).

Fa paura? No, anzi, fa dormire sonni più tranquilli all'italiano che non vuole finire come i poveri americani sommersi dalla crisi subrime.

Contagiati dalle emozioni

Secondo uno studio dell'Università di Torino le emozioni sono contagiose. Si trasmettono dunque, inconsapevolmente, da una persona all'altra.

Quando vediamo qualcuno che sorride o gioisce tendiamo a provare la stessa emozione. Il dato sorprendente è che ciò avviene anche quando lo stimolo non può essere percepito visivamente, dunque coscientemente, a causa della cecità.

Purtroppo, tutto questo vale anche per le pulsioni negative.