Non sono tempi facili per l'economia cooperativa. Stritolata tra un'ideologia capitalista sempre più volgarotta e massiva e crisi reale, molto reale, anche la cooperazione attraversa un periodo duro. Al quale contribuiscono alcune delle perversioni del suo stesso modello, che non sempre sono state corrette quando sarebbe stato possibile. Tra queste, certamente, il caso delle banche popolari è uno dei più eclatanti.
Così, per l'opinione pubblica diffusa, l'mmagine della cooperazione viene associata a quella delle vicende di un complesso carrozzone quale Banca Popolare di Milano. Qualche opinionista ne approfitta per vomitare tutto il suo risentimento verso la "forma cooperativa" in generale, confondendo capre con cavoli.
E addirittura la Banca d'Italia, pare, chiede al Cda della banca di "tirare fuori i lavoratori dalla gestione della cooperativa". Come a dire: trasformiamola in s.p.a. Come e a dire: così sì che si risolvono i problemi di governance.
Ma Ponzellini, lì, chi ce l'ha messo? i dipendenti della banca? o - come hanno scritto tutti i giornali ai tempi - una politica invasiva, con a capo il ministro Tremonti?
E la forma s.p.a. (con risultati a due cifre nel conto economico) ha forse salvato Alessandro Profumo dall'ingerenza della politica in Unicredit?
Insomma, se qualche sindacalista furbetto e un po' di dipendenti fannulloni riescono a tenere in scacco un'assemblea forse il problema non è nella forma cooperativa, ma nel modo in cui essa si realizza. Rivedere i regolamenti assembleari. Favorire la partecipazione di tutti i soci. Introdurre forme innovative di voto e intervento in assemblea. Queste sono le soluzioni per migliorare la governance di una cooperativa.
Non trasformarla coattivamente, o de facto, in una s.p.a.
Tempi duri per l'economia cooperativa. Soprattutto se vuole occuparsi di finanza.