Il che rende apprezzabile l'onestà intellettuale dei rappresentanti del governo che si rifiutano di festeggiarla. Auguri!
Finanza, politica, economia, arte, spettacolo, sport... Le informazioni che gli altri non vi danno e i giudizi senza rete del Condor. Che scende voracemente in picchiata su tutto. Tanto, si sa, di vivo ormai c'è poco...
Banchieri italiani contro la Tobin Tax
Chiamatela come volete, ma ciò cui sta pensando la Commissione europea lanciando la sua consultazione in materia di tassazione delle transazioni finanziarie risponde esattamente alle stesse riflessioni teoriche che ispirarono il Nobel James Tobin quando pensò che una tassa sugli scambi entro le 24 ore sulle operazioni in valuta avrebbe favorito la stabilizzazione dei mercati dei cambi, arginando la speculazione più pura.
Evidentemente tale obiettivo proprio non piace ai banchieri italiani. Così, infatti, bocciando la proposta di Bruxelles, si è espressa l'ABI.
Ciò nonostante perfino Corrado Passera, A.d. di Intesa SanPaolo, si sia espresso recentemente a favore della proposta di una tassa "alla Tobin".
Ma era qualche mese fa. Ancora non si era affermata l'era Mussari, che sta segnando la vera ondata reazionaria dei banchieri che - per restare a galla in questa italietta che affonda - stanno tirando fuori i loro peggior istinti...
Lobbisti da due soldi, l'altra economia degli sfigati
La vicenda della Città dell'altra economia romana merita qualche riflessione. In essa si intrecciano tipiche questioni di insipienza amministrativa (di cui la giunta Alemanno è indiscussa leader), lo stato comatoso della sinistra (romana, laziale e nazionale), la deriva autoreferenziale e micro-corporativa dei cosiddetti "movimenti (ex) noglobal".
Questi ultimi si dividono almeno in due grandi gruppi. Quelli che - prima e dopo Genova 2001 - fanno e migliorano quotidianamente l'altra economia (nell'equo-solidale, nella finanza etica, nella cooperazione sociale, nell'editoria indipendente) e quelli che chiacchierano, autonominandosi esperti o rappresentanti e cercando di raggiungere qualche poltroncina...
Così, un progetto che aveva un senso, è stato mal gestito da un gruppetto di incompetenti, che ora cerca di farne ricadere le responsabilità sul Comune. Il quale, in coerenza con la totale incapacità che ne contraddistingue l'azione più generale sulla città di Roma, prima non si è neanche accorto di questo spazio e ora (meglio tardi che mai) fa l'unica cosa giusta e sensata che può fare un'amministrazione pubblica: far uscire un bando pubblico per assegnare nuovamente gli spazi.
A meno che non si sia accecati da qualche meschino interesse personale, non è facile contestare la prima mossa razionale (e trasparente) dell'amministrazione capitolina: anche perchè è sotto gli occhi di tutti l'inadeguatezza di chi finora ha gestito quegli spazi...
Ma a quanto pare, l'occasione è buona per parolai e giornalai da due soldi per fare di tutta un'erba un fascio, che non è mai cosa buona neanche quando il sindaco è un fascista.
Soprattutto perché chi ci rimette è l'altra economia vera, che certo non acquista dignità quando diventa protagonista di polemiche così pretestuose e contraddittorie.
Il Condor ha provato a spiegare il punto, intervenendo su qualche sito che tratta il tema: qui, qui e qui.
Occhio alla Mediobanca del Nord-est
"Si tratta della Palladio Finanziaria, società che - senza clamore, almeno finora - compra aziende come Snai, entra nel capitale di colossi come Generali assecondando il riassetto al vertice del Leone, ha studiato il dossier Parmalat e adesso punta su infrastrutture e concessionarie (Serenissima, la società autostradale Brescia-Verona-Vicenza-Padova?).
Ai più il nome di Palladio Finanziaria dice poco, anche perché il gruppo preferisce il basso profilo consono a chi agisce molto e parla poco". Eppure, forse, è anche a questi signori che si deve la "boccata d'ossigeno" del sistema finanziario italiano, recentemente liberatosi di Geronzi...
Da leggere.
Arrivano le recensioni del Condor
Divoratore di contenuti (film, libri, dischi), il Condor ha deviso di condividere le proprie valutazioni - sempre libere e rigorose - con chi avrà la pazienza di seguirne le scarne ed essenziali recensioni.
Nasce così una pagina nuova del blog, che sarà aggiornata costantemente.
Nasce così una pagina nuova del blog, che sarà aggiornata costantemente.
Per Yusuf
Pochi minuti fa ci ha chiamato Yusuf Aminu Baba. E' un ragazzo nigeriano di 30 anni. Migrante. E' il protagonista di A SUD di LAMPEDUSA, il documentario che abbiamo girato insieme 5 anni fa nel deserto del Niger.
Da allora ogni tanto ci chiama, per salutarci. Questa volta la telefonata non era uguale alle altre.
Ci ha detto: "Sono a Zuwarah, sulla costa libica, tra poche ore partirò per Lampedusa. Pregate per me. Ho bisogno delle vostre preghiere e dell'aiuto di Dio".
Gli abbiamo detto: "Non partire, è pericoloso". Lui ci ha detto: "Stare qui è più pericoloso".
Yusuf partirà. Forse è già partito mentre leggete queste righe. Chissà se mai arriverà o se finirà come molti altri inghiottito dal Mediterraneo.
E dall'indifferenza.
[...]
Stefano Liberti e Andrea Segre
Profughi, clandestini, CIE e terzo settore
A proposito del delirante dibattitto nel nostro paese in merito all'accoglienza da dare o meno a chi arriva sulle nostre coste.
Ogni tanto ci si dimentica il particolare ruolo che gioca in questi casi il terzo settore.
Che gestisce CPT, CIE... E che, dice, si ispira a principi si solidarietà e cooperazione.
Se ne discute, anche animatamente, tra i soci di Banca Popolare Etica.
E così se ne parla su finansol.it. Anche il Condor ha detto la sua...
Ogni tanto ci si dimentica il particolare ruolo che gioca in questi casi il terzo settore.
Che gestisce CPT, CIE... E che, dice, si ispira a principi si solidarietà e cooperazione.
Se ne discute, anche animatamente, tra i soci di Banca Popolare Etica.
E così se ne parla su finansol.it. Anche il Condor ha detto la sua...
El Pepp, storia (vera) di calcio (vero)
Il solo autentico fenomeno che in un secolo di storia abbia prodotto il calcio italiano non ha nulla in teoria per essere tale.
Il fisico proporzionato ma relativamente gracile, le ginocchia vaccine, lo sguardo perso degli occhi chiari a contrasto con la brillantina lucidissima sui capelli corvini, Giuseppe Meazza detto dai milanesi Peppìn o alla più spiccia El Pepp è il figlio della verduraia di Porta Romana, dove nasce il 23 agosto del 1910, e, orfano di padre, cresce al Trotter, l'istituto che la filantropia municipale riserva ai bambini svantaggiati o comunque segnati da una dieta troppo povera di calorie.
Peppìn ha i piedi decisamente più portati delle mani al lavoro né il decorso di una carriera leggendaria smentirà la sua innata vocazione al loisir, insomma all'ozio ben remunerato, al Campari e al gioco delle carte o alla frequentazione rigorosamente cadenzata delle cosiddette Maison Tellier (un titolo di Maupassant che lui, dialettofono puro, ignora senz'altro ma di cui coglie al volo il senso).
La sua vita è un tracciante dentro al rettangolo di gioco, in tutto venti campionati fra il '27 e il '47: ciò che precede non esiste, quanto segue è vaniloquio puro, non più che una modesta trafila da tecnico e incarichi formali nel suo club di sempre, l'Internazionale di Milano (cui comunque riesce a segnalare un campione adolescente che si chiama Giacinto Facchetti).
Tale è la sua classe che potrebbe ricoprire ogni ruolo ma in sostanza è un centravanti di classica accezione che con gli anni si reinventa interno di regia. Giocando da punta vince il primo campionato a girone unico, nel '30, quando il suo repertorio può già dirsi definito: scatto, controllo e tiro indifferentemente coi due piedi; capacità di stacco e facoltà «mesmerica» di ipnotizzare il portiere avversario nei calci di punizione e di rigore. In genere lo marcano stretto e, specie in provincia, volentieri lo picchiano, dunque predilige i grandi spazi e il contropiede in cui esibisce il pezzo forte, vale a dire la «chiamata» del portiere in uscita, il quale viene anticipato e/o aggirato quel tanto che gli basti per toccare astutamente in rete.
Suo palcoscenico usuale è l'Arena in via Canonica o, prima, il campo di via Goldoni con la tribuna di legno che si schianta, con morti e feriti, mentre lui impassibile, ignaro di tutto quanto non sia football, porta al terzo scudetto l'Internazionale guidata dal tecnico che lo ha lanciato, l'ebreo ungherese Arpad Weisz. Non solo la classe smagliante ma il carico di traumi accumulati lo inducono via via a retrocederne il raggio d'azione di trenta metri buoni.
La sua metamorfosi si attua ai Mondiali di Roma (1934) sotto l'occhio vigile del Duce e l'ala protettrice, subalpina e moralista, di Vittorio Pozzo: costui gli mette al fianco combattenti di forza belluina, il centromediano Luisito Monti e il laterale Attilio Ferraris IV, nonché un interno compassato che funge da pendolo ovvero da metronomo, Giovanni Ferrari, la mezzala più classica che abbia mai annoverato il calcio italiano: davanti gli stanno due ali di valore mondiale, gli oriundi Guaita e Orsi con il vecchio centravanti bolognese Angelo Schiavio, che segna in extremis il gol della vittoria contro la Cecoslovacchia.
Quattro anni dopo, a Parigi sul terreno di Colombes, quando l'Italia di Pozzo bissa il titolo battendo in finale l'Ungheria di Giorgio Sarosi, Meazza è all'apice della parabola: stavolta a portargli la borraccia è il laterale veneziano e amico inseparabile Pietro Serantoni, mentre lui da baricentro duetta con l'uruguagio Michele Andreolo e l'eterno Giovanni Ferrari; in attacco può disporre, sulle ali, di Gino Colaussi come di paso doble Biavati mentre il centravanti è un vercellese ruvido di stile ma acrobata di potenza ciclonica, Silvio Piola.
Tale è divenuto il mito di Meazza che col Brasile in semifinale tutti giurano abbia calciato il rigore da fermo, reggendo con la mano sinistra l'elastico strappato dei pantaloncini.
È un gesto di sovranità calcistica e, insieme, di temeraria non chalance che chiama la Nemesi ed equivale inconsciamente all'inizio della fine: mentre il proletariato milanese e i tifosi dell'Inter, ribattezzata Ambrosiana per il cripto-antifascismo del suo primo nome, continuano a chiamarlo el Pepp, colui che tutt'Italia chiama invece Balilla ha il suo ultimo frangente schiantato dalla guerra. Senza essere inglorioso, il finale è veramente mesto: Meazza ha un piede ghiaccio per problemi di circolazione, l'Inter non fa nulla per tenerselo e gli concede addirittura comparsate fra i rivali più odiosi, il Milan (che l'autarchia guerrafondaia chiama adesso Milano) e una Juve in declino dove restano a parlare la sua lingua non più di tre colleghi, l'amico Pietro Rava, l'esordiente Carletto Parola e un centravanti kosovaro dal tiro potente, Riza Lustha.
Torna a casa soltanto per il lungo addio, che si compie ufficialmente a San Siro, lo stadio dei nemici rossoneri che da trent'anni paradossalmente è intitolato a lui: gioca l'ultima partita il 29 giugno del '47, genetliaco leopardiano, uno scialbo Inter-Bologna cui si limita ad assistere.
Di tutto questo, vita/morte/miracoli del Pepp, si discorre in Il mio nome è Giuseppe Meazza - ExCogita Editore, pp. 290, 35 euro - un album magnifico per precisione filologica e accuratezza grafica, fitto di documenti, immagini inedite e reportages d'epoca: lo hanno assemblato con sapienza Marco Pedrazzini e Federico Jaselli Meazza, nipote d'arte. Per mezzo secolo il suo ritratto , anzi la sua letterale apologia rimane un obbligo di tutti gli scrittori di calcio, da Bruno Roghi a Gianni Brera, da Antonio Ghirelli a Oreste del Buono.
Il giorno dopo la sua morte, 21 agosto del '79, spicca l'epitaffio (o forse l'epinicio) su Il Giornale di Indro Montanelli che cotanto campione ha ispirato proprio a Brera:
«Perché Peppìn Meazza è il football, anzi el folber per tutti gli italiani. Grandi giocatori esistevano al mondo, magari più tosti e continui di lui, però non pareva a noi che si potesse andare oltre le sue invenzioni improvvise, gli scatti geniali, i dribbling perentori e tuttavia mai irridenti, le fughe solitarie verso la sua smarrita vittima di sempre, il portiere avversario».
Del resto, dimentichi persino del saluto fascista in tribuna d'onore, a Colombes in quel giugno del '38, i francesi lo avevano insignito sul campo del titolo di Grand Peintre du football. Sì, gran pittore del calcio, un autentico maestro dell'Impressionismo.
di Massimo Raffaeli (il manifesto del 30 marzo 2011)
Le popolari, la democrazia, il potere
Bell'articolo sul sito Linkiesta. Si parla di banche popolari, di correnti di potere, di annacquamento dello spirito cooperativo. Il titolo un po' meno efficace. Il Condor, comunque, ha lasciato un commento....
Educazione finanziaria... da monitorare
Findomestic lancia un sito di educazione finanziaria. Si può criticare? Ha poco senso. Nel nostro paese è talmente alto il livello di ignoranza in materia che "tutto fa brodo".
Ma certo, è il caso di monitorare ciò che dice ai propri clienti uno dei leader del credito al consumo nostrano, oramai parte del colosso BNP Paribas, che ne detiene il 75% delle azioni.
Teniamolo d'occhio...
Boccata d'ossigeno...
... per l'asfissiante sistema finanziario italiano.
Oppure puzza di marcio?
Difficile non gioire per le dimissioni di Geronzi da Generali. Il Condor se n'era già occupato, commentando la mostruosità del suo incarico.
E ormai Geronzi sembrava invincibile.
Ha vinto contro Maranghi e Arpe; ha assistito (secondo alcuni non passivamente) alla rivoluzione in Unicredit con l'uscita di scena di Profumo. Ha stretto e dissolto alleanze importanti pur di occupare di volta in volta tutte le poltrone del Sancta Sanctorum della finanza e ci e' sempre riuscito. Ha visto Antonio Fazio perdere la guerra bancaria per il controllo di Bnl e Antonveneta, allontanandosi dal Governatore appena in tempo. Sembrava immortale, forse 'l'ultimo', adesso che anche la stella di Giovanni Bazoli, sembra brillare meno, invece Trieste potrebbe essere a sorpresa il capolinea della finora irresistibile ascesa di Cesare Geronzi nelle stanze dei bottoni delle poche aziende italiane davvero importanti.
Protagonista assoluto del mondo bancario italiano, Geronzi, e' stato presidente di Capitalia ma, soprattutto, e' stato finora il simbolo per eccellenza della finanza e degli addentellati di questa con la politica. Nato a Marino, cittadina dei Castelli Romani, il 15 febbraio del 1935, dopo l'abbandono di Pellegrino Capaldo, e' diventato presidente della Banca di Roma alla fine del '95 dopo esserne stato direttore generale e aver iniziato la sua carriera in Banca d'Italia come funzionario al servizio cambi e al servizio rapporti con l'estero.
Regista di tutte le vicende che hanno consolidato la banca romana fino all'integrazione con Unicredit in seguito all'accordo concluso con Alessandro Profumo, in sole due settimane e contro il suo amministratore delegato, Matteo Arpe, Geronzi ha guidato la privatizzazione della Banca di Roma, nata dall'unione dei tre istituti storici della Capitale (Cassa di Risparmio, Banco di Roma e Banco di Santo Spirito). Ha poi sostenuto la sua trasformazione in Capitalia, holding di tre banche: Banca di Roma, Bipop e Banco di Sicilia, frutto dell'acquisizione prima della banca siciliana e dopo dell'istituto bresciano, simbolo della new economy risucchiato nel buco nero di perdite e errori di gestione. E' stata questa l'ultima operazione realizzata sotto il segno del sodalizio con l'allora governatore di Bankitalia, Antonio Fazio.
Sintonia pluriennale rotta improvvisamente dopo il no del banchiere di Alvito alle nozze tra Capitalia e Antonveneta proposto da Geronzi per garantire indipendenza e solidita' a Capitalia. Ne e' seguito l'avvicinamento tra Fazio e Gianpiero Fiorani, che ha portato la banca patavina sotto l'egida della Bpl e all'ascesa dei 'furbetti del quartierino'.
Geronzi e' sopravvissuto quindi al declino di Fazio e la sua estraneita' alle vicende Bnl e Antonveneta lo ha rafforzato come trait d'union tra politica, banche e finanzieri internazionali, da Vincent Bollore' a Emilio Botin (Santander). Spesso accusato di gestire in modo accentratore e troppo 'politico' le sue cariche, Geronzi e' legato all'imprenditoria romana: dai costruttori Federici, Marchini, Toti (Lamaro), ai 're' delle cliniche Angelucci.
Alla guida di Banca di Roma-Capitalia ha preso parte al risanamento e allo sbarco in Borsa di Mediaset con l'operazione 'Wave', e' stato parte in causa nel risanamento Fiat e al fianco di Profumo contrasto' la possibile conquista francese di Generali nel 2003.
Geronzi e' finito piu' volte nelle indagini della magistratura per i crac Parmalat e Cirio e per la vicenda Italcase-Bagaglino, che lo hanno portato per due volte alla sospensione dalla carica di presidente di Capitalia e sempre riconfermato dalle assemblee degli azionisti grazie a quella capacita' di ricomposizione delle frizioni che oggi sembra essere venuta meno.
Bene, un boiardo in meno. Ma cosa verrà al suo posto?
Vista la situazione del capitaliamo italiano, e della politica sempre più aggressiva nei suoi confronti, speriamo di non dover scoprire presto che il tappo saltato ha liberato un ancor più terribile odore di marcio.
Oppure puzza di marcio?
Difficile non gioire per le dimissioni di Geronzi da Generali. Il Condor se n'era già occupato, commentando la mostruosità del suo incarico.
E ormai Geronzi sembrava invincibile.
Ha vinto contro Maranghi e Arpe; ha assistito (secondo alcuni non passivamente) alla rivoluzione in Unicredit con l'uscita di scena di Profumo. Ha stretto e dissolto alleanze importanti pur di occupare di volta in volta tutte le poltrone del Sancta Sanctorum della finanza e ci e' sempre riuscito. Ha visto Antonio Fazio perdere la guerra bancaria per il controllo di Bnl e Antonveneta, allontanandosi dal Governatore appena in tempo. Sembrava immortale, forse 'l'ultimo', adesso che anche la stella di Giovanni Bazoli, sembra brillare meno, invece Trieste potrebbe essere a sorpresa il capolinea della finora irresistibile ascesa di Cesare Geronzi nelle stanze dei bottoni delle poche aziende italiane davvero importanti.
Protagonista assoluto del mondo bancario italiano, Geronzi, e' stato presidente di Capitalia ma, soprattutto, e' stato finora il simbolo per eccellenza della finanza e degli addentellati di questa con la politica. Nato a Marino, cittadina dei Castelli Romani, il 15 febbraio del 1935, dopo l'abbandono di Pellegrino Capaldo, e' diventato presidente della Banca di Roma alla fine del '95 dopo esserne stato direttore generale e aver iniziato la sua carriera in Banca d'Italia come funzionario al servizio cambi e al servizio rapporti con l'estero.
Regista di tutte le vicende che hanno consolidato la banca romana fino all'integrazione con Unicredit in seguito all'accordo concluso con Alessandro Profumo, in sole due settimane e contro il suo amministratore delegato, Matteo Arpe, Geronzi ha guidato la privatizzazione della Banca di Roma, nata dall'unione dei tre istituti storici della Capitale (Cassa di Risparmio, Banco di Roma e Banco di Santo Spirito). Ha poi sostenuto la sua trasformazione in Capitalia, holding di tre banche: Banca di Roma, Bipop e Banco di Sicilia, frutto dell'acquisizione prima della banca siciliana e dopo dell'istituto bresciano, simbolo della new economy risucchiato nel buco nero di perdite e errori di gestione. E' stata questa l'ultima operazione realizzata sotto il segno del sodalizio con l'allora governatore di Bankitalia, Antonio Fazio.
Sintonia pluriennale rotta improvvisamente dopo il no del banchiere di Alvito alle nozze tra Capitalia e Antonveneta proposto da Geronzi per garantire indipendenza e solidita' a Capitalia. Ne e' seguito l'avvicinamento tra Fazio e Gianpiero Fiorani, che ha portato la banca patavina sotto l'egida della Bpl e all'ascesa dei 'furbetti del quartierino'.
Geronzi e' sopravvissuto quindi al declino di Fazio e la sua estraneita' alle vicende Bnl e Antonveneta lo ha rafforzato come trait d'union tra politica, banche e finanzieri internazionali, da Vincent Bollore' a Emilio Botin (Santander). Spesso accusato di gestire in modo accentratore e troppo 'politico' le sue cariche, Geronzi e' legato all'imprenditoria romana: dai costruttori Federici, Marchini, Toti (Lamaro), ai 're' delle cliniche Angelucci.
Alla guida di Banca di Roma-Capitalia ha preso parte al risanamento e allo sbarco in Borsa di Mediaset con l'operazione 'Wave', e' stato parte in causa nel risanamento Fiat e al fianco di Profumo contrasto' la possibile conquista francese di Generali nel 2003.
Geronzi e' finito piu' volte nelle indagini della magistratura per i crac Parmalat e Cirio e per la vicenda Italcase-Bagaglino, che lo hanno portato per due volte alla sospensione dalla carica di presidente di Capitalia e sempre riconfermato dalle assemblee degli azionisti grazie a quella capacita' di ricomposizione delle frizioni che oggi sembra essere venuta meno.
Bene, un boiardo in meno. Ma cosa verrà al suo posto?
Vista la situazione del capitaliamo italiano, e della politica sempre più aggressiva nei suoi confronti, speriamo di non dover scoprire presto che il tappo saltato ha liberato un ancor più terribile odore di marcio.
Un applauso al Madoff dei Parioli
Il Condor vuole dirlo chiaramente: questi vip che ora piangono come Pinocchio di fronte al Gatto e alla Volpe, ci fanno o ci sono?
Gente che con noncuranza ha affidato al primo venuto centinaia di migliaia, a volte milioni, di euro, aspettandosi serenamente rendimenti del 20% annuo su quale pianeta vive?
Gente che ci fa la morale, o sta in politica, o scrive sui giornali, che pretende dal proprio denaro prestazioni da traffico di droga, è viziata o rincoglionita?
Difficile dirlo, ma questa volta un applauso al truffatore ci sta tutto.
E a costoro, pretesi vip, un grande "ombrello"...
Gente che con noncuranza ha affidato al primo venuto centinaia di migliaia, a volte milioni, di euro, aspettandosi serenamente rendimenti del 20% annuo su quale pianeta vive?
Gente che ci fa la morale, o sta in politica, o scrive sui giornali, che pretende dal proprio denaro prestazioni da traffico di droga, è viziata o rincoglionita?
Difficile dirlo, ma questa volta un applauso al truffatore ci sta tutto.
E a costoro, pretesi vip, un grande "ombrello"...
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