Oppure puzza di marcio?
Difficile non gioire per le dimissioni di Geronzi da Generali. Il Condor se n'era già occupato, commentando la mostruosità del suo incarico.
E ormai Geronzi sembrava invincibile.
Ha vinto contro Maranghi e Arpe; ha assistito (secondo alcuni non passivamente) alla rivoluzione in Unicredit con l'uscita di scena di Profumo. Ha stretto e dissolto alleanze importanti pur di occupare di volta in volta tutte le poltrone del Sancta Sanctorum della finanza e ci e' sempre riuscito. Ha visto Antonio Fazio perdere la guerra bancaria per il controllo di Bnl e Antonveneta, allontanandosi dal Governatore appena in tempo. Sembrava immortale, forse 'l'ultimo', adesso che anche la stella di Giovanni Bazoli, sembra brillare meno, invece Trieste potrebbe essere a sorpresa il capolinea della finora irresistibile ascesa di Cesare Geronzi nelle stanze dei bottoni delle poche aziende italiane davvero importanti.
Protagonista assoluto del mondo bancario italiano, Geronzi, e' stato presidente di Capitalia ma, soprattutto, e' stato finora il simbolo per eccellenza della finanza e degli addentellati di questa con la politica. Nato a Marino, cittadina dei Castelli Romani, il 15 febbraio del 1935, dopo l'abbandono di Pellegrino Capaldo, e' diventato presidente della Banca di Roma alla fine del '95 dopo esserne stato direttore generale e aver iniziato la sua carriera in Banca d'Italia come funzionario al servizio cambi e al servizio rapporti con l'estero.
Regista di tutte le vicende che hanno consolidato la banca romana fino all'integrazione con Unicredit in seguito all'accordo concluso con Alessandro Profumo, in sole due settimane e contro il suo amministratore delegato, Matteo Arpe, Geronzi ha guidato la privatizzazione della Banca di Roma, nata dall'unione dei tre istituti storici della Capitale (Cassa di Risparmio, Banco di Roma e Banco di Santo Spirito). Ha poi sostenuto la sua trasformazione in Capitalia, holding di tre banche: Banca di Roma, Bipop e Banco di Sicilia, frutto dell'acquisizione prima della banca siciliana e dopo dell'istituto bresciano, simbolo della new economy risucchiato nel buco nero di perdite e errori di gestione. E' stata questa l'ultima operazione realizzata sotto il segno del sodalizio con l'allora governatore di Bankitalia, Antonio Fazio.
Sintonia pluriennale rotta improvvisamente dopo il no del banchiere di Alvito alle nozze tra Capitalia e Antonveneta proposto da Geronzi per garantire indipendenza e solidita' a Capitalia. Ne e' seguito l'avvicinamento tra Fazio e Gianpiero Fiorani, che ha portato la banca patavina sotto l'egida della Bpl e all'ascesa dei 'furbetti del quartierino'.
Geronzi e' sopravvissuto quindi al declino di Fazio e la sua estraneita' alle vicende Bnl e Antonveneta lo ha rafforzato come trait d'union tra politica, banche e finanzieri internazionali, da Vincent Bollore' a Emilio Botin (Santander). Spesso accusato di gestire in modo accentratore e troppo 'politico' le sue cariche, Geronzi e' legato all'imprenditoria romana: dai costruttori Federici, Marchini, Toti (Lamaro), ai 're' delle cliniche Angelucci.
Alla guida di Banca di Roma-Capitalia ha preso parte al risanamento e allo sbarco in Borsa di Mediaset con l'operazione 'Wave', e' stato parte in causa nel risanamento Fiat e al fianco di Profumo contrasto' la possibile conquista francese di Generali nel 2003.
Geronzi e' finito piu' volte nelle indagini della magistratura per i crac Parmalat e Cirio e per la vicenda Italcase-Bagaglino, che lo hanno portato per due volte alla sospensione dalla carica di presidente di Capitalia e sempre riconfermato dalle assemblee degli azionisti grazie a quella capacita' di ricomposizione delle frizioni che oggi sembra essere venuta meno.
Bene, un boiardo in meno. Ma cosa verrà al suo posto?
Vista la situazione del capitaliamo italiano, e della politica sempre più aggressiva nei suoi confronti, speriamo di non dover scoprire presto che il tappo saltato ha liberato un ancor più terribile odore di marcio.