Sullo sfondo si agita lo spettro di due inchieste giudiziarie ancora non esplose. Forse non arriveranno mai gli avvisi di garanzia dalle procure di Roma e di Velletri, eppure se ne parla così tanto che, nel passaparola dei Palazzi romani, le due inchieste fantasma sugli uomini di Gianni Alemanno alla regione Lazio hanno finito con l’ aggravare una condizione psicologica di paura che all’ ambizioso sindaco suggerisce l’ urgenza in parte irrazionale di trovare una via di uscita dal Campidoglio.
Gli amici del Pdl, quelli che vengono da An, escluso il fedele Altero Matteoli, gli sbarrano però la strada: devi restare dove sei, se molli prima della scadenza resti a piedi. Maurizio Gasparri da molto tempo ripete sempre e solo la stessa frase: “Prima deve pensare a fare bene il sindaco di Roma e poi si vedrà”; mentre Andrea Augello, senatore e uomo di potere nella Capitale, ha deciso di soccorrerlo, Alemanno, ma per tenerlo in piedi ancora un po’.
E’ infatti sua, di Augello, l’ impronta del piccolo rimpasto che ha portato alla sostituzione del vicesindaco Mauro Cutrufo con Sveva Belviso. Quanto al sindaco, fiaccato dagli scandalucci sull’ Ama, sul familismo diffuso nelle ex municipalizzate e dai sondaggi in picchiata, ormai ha capito che per conquistare l’ agognata uscita d’ emergenza – quando sarà – è necessario occupare, prima, uno spazio politico nazionale strategico che sia riconoscibile, ben distinto, e in definitiva capace di giustificare in un prossimo momento di difficoltà del Pdl il suo “sacrificio per il centrodestra”. Punta a presidiare uno spazio di assennatezza, di buon senso nel caos della politica nazionale, Alemanno. E non gli viene nemmeno troppo difficile, circondato com’è da scattanti diti medi, rutti ministeriali, risse parlamentari e lotte intestine tra fazioni contrapposte eppure un tempo alleate: berlusconiani contro tremontiani, maroniani contro berlusconiani, giannilettismo contro tremontismo…
Più il contesto si fa sfilacciato, nervoso e confuso, più Gianni Alemanno suona corde di moderazione istituzionale, lui che pure viene dalla destra-destra e che un tempo era considerato il modello di carriere politiche di successo, come quella del sindaco leghista di Verona Flavio Tosi (anche lui un passato nell’ estrema destra). Ma le fortune politiche si capovolgono clamorosamente, così oggi Tosi, da epigono alemanniano che era, viene invece definito “un Alemanno riuscito”.
E dunque il sindaco della capitale ora si schiera con il Quirinale (“ha ragione Napolitano”), avversa il marketing strampalato della Lega sui ministeri al nord, e quando il premier tentennava sul nome del sostituto di Angelino Alfano al ministero della Giustizia, Alemanno ha tirato fuori il più inattaccabile, pacato e per bene dei candidati possibili: l’ ex magistrato, e attuale sottosegretario all’ Interno, Alfredo Mantovano. Corteggia la fronda di Roberto Maroni, ma prende le distanze quando la Lega fa politica “in canottiera”, triangola con le ambizioni democristiane dell’ amico Roberto Formigoni, osserva con celata diffidenza il nuovo segretario del Pdl Alfano e cerca così una buona posizione, e strategica.
Pronto a scattare, ma un attimo dopo (non prima) il tramonto del sole: Silvio Berlusconi. Gli amici sanno cosa si agita nella testa di Alemanno, lui giura che si ricandiderà al Campidoglio e loro invece raccontano sottovoce che non ci pensa nemmeno e che alcuni mesi fa Giorgia Meloni si è vista recapitare un’ ambasciata (peraltro da lei poco gradita) con la quale le è stata offerta la fascia del sindaco.
da www.ilfoglio.it