Indignarsi?

Se ne è parlato un po' su finansol.it. L'indignazione serve? è utile o solo un modo per mostrare frustrazione?

L'occasione è stata la pubblicazione di «Indegnez-vous!» di Stéphane Helles.

Da quel breve testo, ora, Pietro Ingrao ha tratto lo spunto per scrivere un volume che l'editore Aliberti ha appena mandato in libreria: «Indignarsi non basta».

Il libro sarà presentato oggi (mercoledì 30 marzo) a Roma da Ingrao (in collegamento video), Furio Colombo, Ida Dominijanni, Maria Luisa Boccia, Alberto Olivetti, Luca Telese, Nichi Vendola. Appuntamento alle 18, nella Sala Liegro di Palazzo Valentini (Via IV Novembre, 119).

Di questi tempi, un po' d'ossigeno.

Gli psicologi, i filosofi e la triste scienza

Imperversano nei media i commenti sui volumi che uno psichiatra, Andreoli, e uno psicologo, Legrenzi, hanno recentemente dedicato al rapporto tra la nostra mente e il denaro. In entrambi, sia detto di sfuggita, il Condor non ha trovato traccia di un pensiero originale e che già non si trovi nei classici dell'economia, da Mill a Keynes, o dell'antropologia, da Polanyi a Latouche.

Ciò che stupisce è l'esuberanza con cui evidenti neofiti della materia si lanciano in entusiastiche valutazioni sui contenuti dei libri e - ne consegue inesorabilmente - sull'economia (nota come la triste scienza, per bocca di Thomas Carlyle).

Così, su Repubblica del 28 marzo, tocca leggere le conclusioni populistico-deliranti del "filosofo" Maurizio Ferraris che, commentando il libro di Legrenzi, si spinge a dire che nella gestione del nostro denaro non dobbiamo mai rivolgerci a degli esperti. "Perchè loro faranno gli interessi solo degli azionisti della banca". Ed è per questo, secondo lui, che la massa dei risparmiatori non viene orientata ad investire in Exchange traded fund (ETF) che - a suo dire - sono l'investimento "più sicuro e redditizio che si possa immaginare".

Con buona pace della prudenza generale, dei profili di rischio individuali, degli orizzonti temporali e così via.

Ma un filosofo non dovrebbe essere il primo a sapere di non sapere?

Benpensanti atomici

Sul disastro in Giappone, innanzi tutto leggere cosa ne pensa Paolo Villaggio:

Dalle nostre parti le notizie sulla possibile catastrofe nucleare in Giappone sono tutte accompagnate da confortanti assicurazioni di espertissimi: "Il pericolo è grave per loro, ma per nostra fortuna e anche un po' di euforia, la contaminazione non arriverà mai in Italia. Cari ascoltatori, lettori nostrani, politici d'ogni colore, mafiosi, ladri naturali, escort patentate, state tranquilli e contenti!".

Sulla catastrofe giapponese, c'è un'inflazione di immagini in tv e sul web vendute a caro prezzo. I giornali aumentano le tirature. Toni di grande cordoglio e di improvvisate competenze sulle centrali nucleari. D'accordo, fa parte della cultura consumistica, ma che c'entra l'amore per il prossimo cristiano, con cui si chiudono le notizie: «Molti morti, ma gli italiani fortunatamente tutti salvi»


Il Giappone, uno dei paesi più ricchi della Terra, ha chiesto aiuto all'Occidente. Anche l'Italia si è offerta. La risposta «Voi no». Perché? Le ipotesi sono: «Siete forse più malmessi di noi». «Avete un'esperienza molto limitata sul nucleare». «Abbiamo già i cani coreani, ma temiamo che l'intervento di vostre squadre di soccorso, potrebbe causare saccheggi del tutto estranei alla nostra storia».


... dalla rubrica "il benpensante" del manifesto.

Se poi non vi convincono gli appelli confindustriali a "rimuovere la moratoria, passata la paura", potete approfondire tutte le ragioni per il no al nucleare leggendo gli scritti, sempre illuminanti, di Giorgio Nebbia, oppure il bell'articolo di Guglielmo Ragozzino, un'arguta intervista al Nobel Rubbia...

Il prof. Rossi e i power broker

Il Condor riporta una bella intervista di Massimo Mucchetti a Guido Rossi.
Tra architrave della finanza, power broker, P2 e P4 c'è tanto da leggere e riflettere...

Professor Rossi, Generali e Mediobanca dilaniate da conflitti intestini: la finanza italiana perde gli architravi?
«Se di architrave si vuol parlare, allora ci si deve riferire alla Mediobanca di Cuccia e Maranghi o, più indietro nel tempo, alla Bastogi secondo Beneduce. Ma l' architrave è venuto meno da tempo».

Perché?
«Fino agli anni 90, il sistema era sorretto da Mediobanca, non da Generali troppo eterodirette da via Filodrammatici. Ne dovetti prendere atto io stesso e in pieno consiglio scrissi la lettera delle mie dimissioni. Oggi né Mediobanca né Generali esercitano quella funzione: il sistema è spaccato, il potere frazionato».

E tuttavia sono emersi i banchieri di sistema, Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi.
«Premesso che si tratta di figure diverse, espressione di mondi diversi, con una diversa presa sulle società che presiedono, non credo che i power broker, come direbbero gli inglesi, possano sostituire figure carismatiche come Cuccia, Mattioli o Beneduce. Loro per primi sanno che non potrebbero mai vestire i panni del Grande Inquisitore».

Figura tragica che, nella parabola dostoevskijana, usa violenza e menzogna per governare l' umanità incapace di reggere la responsabilità...

«Oggi il braccio secolare è il flusso del denaro, che nessun power broker può dominare, come invece poteva Cuccia».

Che cosa ha rotto il sistema?

«L' euro e la globalizzazione degli ultimi 10 anni».

Dunque, la modernizzazione.

«La vecchia struttura era chiusa, ma non provinciale. La guidavano uomini che, avendo rapporti di prim' ordine nel mondo, ritenevano adatto all' Italia ammodernare gli ordinamenti giuridici e la politica economica per rendere motrici dello sviluppo le aziende di Stato e le imprese familiari. Fu lo stesso Cuccia, del resto, ad avviare la revisione del capitalismo di Stato con la privatizzazione di Mediobanca».

In realtà, fu il governo a costringerlo rendendo noto il patto tra le banche Iri e i privati, che dava tutto il potere a Cuccia.

«Sì, ma la soluzione la disegnò lui».

Prodi si consola dicendo che, nel 1988, i privati hanno almeno pagato.

«E ha ragione. Resta il fatto che Mediobanca avviò la privatizzazione delle banche. Di quelle stesse banche che, tanti anni prima, Donato Menichella aveva chiamato a scegliere tra la costruzione di un mercato finanziario a sostegno dello sviluppo o la conservazione del modello bancocentrico».

Eppure, negli anni 50 la riforma bancaria del 1936 era indiscussa.

«Menichella vedeva lontano. Non a caso, poi, le privatizzazioni cominciarono dalle banche incontrando Cuccia sul percorso».

Che bilancio fa delle privatizzazioni, di cui lei, con Telecom, fu un artefice?

«Una grande occasione mancata. Fatte in assenza di un mercato finanziario sviluppato, nemmeno lo crearono. Nel 2011 il numero di società quotate è analogo a quello del 1981, quando fui nominato presidente della Consob. E tra le migliori figurano le residue società a partecipazione statale».

Il mercato finanziario basato sui fondi pensione e su quelli sanitari presuppone si faccia business su attività che in Italia si preferisce affidare al non profit e allo Stato. Un male per i finanzieri, un bene per i cittadini. Lei è uomo di sinistra...

«E perciò credo si debba prendere il buono da tutti i sistemi. Un approccio empirico che dà i suoi frutti migliori in Germania dove il mercato finanziario è potente come dimostra la Borsa di Francoforte, ma al tempo stesso temperato dalla presenza dei lavoratori nei consigli di sorveglianza delle grandi imprese. Come direbbe Marta Nussbaum, il modello tedesco combina meglio produttività e solidarietà, capitalismo e umanità».

La Germania non ama la speculazione. Lei invece è uno storico fautore della libertà di Opa.

«Nella commissione Bolkenstein, che varò la XIII direttiva Ue, infine constatammo come le legislazioni nazionali diversificassero il mercato del controllo. Prevalse il favore all' Opa e al principio una testa, un voto, ma non si escluse la reciprocità su cui hanno fatto leva i governi per frenare».

Una sconfitta?

«È stato sconfitto chi faceva del mercato un feticcio ideologico. Thomas Hobbes diceva: "Il mercato come modello dello sviluppo economico ha natura selvaggia". Per questo qualcuno gli ha sempre messo le brache. Del resto, la crisi degli ultimi anni dimostra come il mercato abbia fallito e per salvarsi si sia affidato allo Stato o ai fondi sovrani, soggetti imprevisti negli anni 90. Un fiasco che in Italia, pur meno grave per le banche, sconta in più l' insuccesso delle privatizzazioni quali levatrici di un nuovo capitalismo. L' architrave, se vogliamo, è diventato il governo».

Insomma, dopo Cuccia, Tremonti?

«Non c' è mai stato un ministro dell' Economia potente come Tremonti».

Eppure, sulle nomine pubbliche sembrano influire circoli privati come quello di Luigi Bisignani.

«Ah, Bisignani. Lo trovai nel ' 93 nella Ferruzzi tecnicamente fallita, quando ne assunsi la presidenza. Non ci fu bisogno dei suoi servigi. L' attuale potenza del governo deriva dalla fragilità dell' economia; l' influenza dei poteri opachi dipende a sua volta dalla debolezza dei partiti, ridotti a proprietà dei leader. Quando l' economia e la democrazia avevano soggetti chiari e forti, persino i poteri opachi e criminali avevano un altro spessore. Non vorremo mica paragonare la P4 alla P2 o a Calvi o a Sindona?».

Lei rappresentava la cordata che acquistò il «Corriere» dopo i guasti della P2.

«Già, le azioni Rizzoli erano ancora sotto sequestro, quando accompagnai Cuccia da Bettino Craxi, nel suo ufficio di piazza Duomo. Il leader socialista temeva che il "Corriere" finisse sotto l' egida della Fiat che già aveva la "Stampa". Cuccia lo rassicurò: il giornale sarebbe rimasto nel solco del capitalismo lombardo con una proprietà multipla».

Formula discussa: da Della Valle a Palenzona.

«L' idea affacciata da Palenzona può offrire uno sviluppo attuale alle migliori intenzioni del dopo P2: banche, assicurazioni e industriali farebbero bene a cedere la casa editrice a un editore puro o a una public company, con i giusti statuti a protezione di quel bene pubblico che è l' indipendenza della testata».

Palenzona, esponente delle fondazioni, è quanto di più lontano dal capitalismo anglosassone.

«Il Dodd-Frank Act rivela che il capitalismo Usa è incapace di riformarsi. La Bce ha un attivo, pieno di titoli illiquidi, pari al 23% del Pil dell' Eurozona. In questo contesto, in Italia, le fondazioni sono i nostri fondi sovrani, soggetto terzo, dunque prezioso, tra il capitalismo di Stato residuo e le imprese familiari. Giuliano Amato ha fatto male a pentirsi di averle promosse».

Di nuovo Mussari, questa volta nella «casta di Siena»

Il Condor deve occuparsi nuovamente di Giuseppe Mussari.
Lo spunto viene da un volume che ha venduto più di sei mila copie, tra i cinquantamila abitanti di Siena. Senza editore e cambiando varie tipografie, perché "prima o poi c'è sempre qualcuna che si tira indietro. O decide di non apporre il suo marchio sul libro". E così, racconta divertito al Manifesto l'autore di un clamoroso caso editoriale nel senese, «la prima edizione era praticamente fuori legge e mi costrinsero ad incollare migliaia di fascette adesive».

Alcune librerie riferiscono di clienti particolari pronti a ritirare ogni copia in magazzino. «Quando La Nazione telefonò per sapere la classifica dei più venduti, dissero al commesso della libreria che il mio non poteva comparire». E così è stato, per quattro anni. Fino alla settimana scorsa quando Il Corriere di Siena e La Nazione hanno citato per la prima volta il nome del libro e del suo autore: La casta di Siena di Raffaele Ascheri. L'hanno fatto per dare notizia che il tribunale di Siena lo ha condannato per diffamazione aggravata a un super risarcimento di duecentocinquanta mila euro.
La somma dovrebbe andare - si tratta di una condanna in primo grado - a vantaggio dei querelanti Giuseppe Acampa, sacerdote con responsabilità amministrative ed economiche, e Antonio Buoncristiani, arcivescovo rappresentante la diocesi di Siena, Colle Val D'Elsa e Montalcino.

Tra il silenzio generalizzato, Ascheri ha posto sotto la lente di ingrandimento sulle speculazioni edilizie. Senza risparmiare niente e nessuno. Nell'occhio del ciclone il progetto dell'aeroporto di Ampugnano (primo link con Mussari, indagato), rovinosamente decaduto in una bufera giudiziaria, le ambiguità dell'onnicomprensivo partito democratico e i legami tra Curia e Monte dei Paschi (secondo link con Mussari, che della banca è presidente). Potrebbe costargli caro.

Nel libro si racconta dell'incendio doloso della cancelleria vescovile avvenuto il 2 aprile 2006, incendio per il quale è ancora sotto processo don Acampa (accusato anche di calunnia). Il giovane sacerdote è stato recentemente riconfermato dall'arcivescovo Buoncristiani nel ruolo di economo per altri cinque anni. Ed è difeso in tribunale da Giuseppe Mussari (terzo link!), attuale numero uno dell'Associazione Bancaria Italiana.

Proprio l'aver formulato allusioni sulla condotta privata di don Acampa e aver preso per buone le tesi dell'accusa suggerendo un movente speculativo dell'incendio (la distruzione di documentazione testamentaria al fine di venderne illecitamente le proprietà connesse) è all'origine della sentenza di condanna a carico di Ascheri. Nella quale il giudice Cavoto ha addirittura parlato di un'assoluzione «con formula piena» del prelato, quando in verità il processo contro di lui non ha neanche raggiunto il verdetto di primo grado.

Sul sito di Radio radicale si trova un'interessante intervista all'autore.

Apprendisti a 34 anni

L'idea è tracotante.
Grassa di volgare avidità. «Spostare da 29 a 34 anni il limite di età per l'apprendistato».

Cosi Francesco Micheli, il banchiere scelto dai suoi colleghi per "ristrutturare" i costi del lavoro del settore, pensa di risolvere i problemi di redditività delle banche italiane. Non con l'innovazione, non con la concorrenza, non con l'efficienza (perduta) allo sportello.

La soluzione è il precariato a vita! Apprendisti fino a 35 anni. Una volta il limite era 16 anni...

Questo è il ruolo che le banche vogliono per il paese. I peggiori animal spirits. Che si meriterebbero veramente di essere inseguiti coi forconi...

Tra l'ombra del potere e la luce del colore

Oggi esiste la possibilità di intravvedere uno scarto nel morbo del potere. C'è la possibilità di aggredire con gli anticorpi questa influenza che annebbia la vista al corpo e spezza le giunture.

Un artista per esempio con un po' di attenzione può fare il suo bravo lavoretto. Con un po' di osservazione può accorgersi che il potere è una questione di spazio. Il potere è uno spazio occupato da una persona o da un fenomeno. Può trattarsi per esempio di un pittore famoso o di un temporale.

Il pittore famoso è uno che dipinge quadratini, un altro pittore sciocco crede che l'importanza stia nei quadratini, quindi si mette a fare quadratini. Poi si lamenta che l'altro diventa sempre più famoso e lui non ha successo. Un artista invece si mette a fare lineette, oppure fa i quadratini sapendo che il potere è nella sua volontà e non si lamenta.

Se io credo che il potere è occupato da una persona io non ho spazio per me. L'arte sta nel trovare lo spazio libero. Se io credo che il potere è occupato da una persona automaticamente do a quella persona il potere di occupare il mio spazio. L'obiettivo è questo: liberare lo spazio del nostro potere. Liberare la nostra persona dal potere di un altro. Liberare il nostro spazio interno, quello dentro il nostro cervello.

Non credo nel potere ma nel mio potere. Tu sei sciocco se credi nel mio potere.

Michelangelo Pistoletto

Le borse matrioska preparano il grande botto

Il paradosso (assai rischioso) continua: la borsa che si quota in borsa e poi si fonde con un'altra borsa è l'emblema del distacco della finanza dall'economia, ancora più di quanto lo siano gli strumenti derivati.

Anche questo gioco, come quello dei derivati e degli hedge fund, non ha un freno, nessuno se ne preoccupa, le autorità lo ignorano finchè non gli scoppierà in mano.

Così, tra poco, la borsa italiana, già fusa con Londra, si fonderà con Toronto. "Siamo in fase di presentazione alle autorita' canadesi. I tempi sono ancora lunghi"ha detto Raffaele Jerusalmi, amministratore delegato di Borsa Italiana, a margine di una audizione in Senato.

Interpellato sulle implicazioni della fusione per la Borsa Italiana Jerusalmi ha aggiunto: "La scelta della fusione con Londra e' stata vincente perche' altrimenti si rischiava di trovarsi isolati. Alle fusioni non ci sono alternative - ha aggiunto Jerusalmi riferendosi al risiko nel settore dei mercati regolamentati che sta coinvolgendo anche il Nyse, Euronext e la Borsa di Francoforte.

Peccato che restino delle forti preoccupazioni sulle capacità di tenuta di un sistema che - proprio come per le grandi banche di affari Usa - rischia di diventare "too big to fail".

Si prenda il caso dei guasti tecnici avuti la scorsa settimana. Non era mai successo che contemporaneamente (o quasi, a distanza di un giorno) Milano e Londra si fermassero per guasti tecnici. Secondo Jerusalmi, lo stop alle contrattazioni e' stato solo "casuale".

Vi fidate? gli dareste in gestione una "terza" borsa?

Un'agenda al femminile

Sveglia:
preparare la colazione,
lavare i bambini,
vestire i bambini,
fare i letti,
mettere a posto,
telefonare
al medico,
mettere i panni in lavatrice,
preparare la merenda,
accompagnare i bambini a scuola,
andare a lavorare,
fare la spesa,
andare a prendere i bambini,
passare dal pediatra,
preparare la cena,
dar da mangiare ai bambini,
fare il bagno,
leggere una storia, sparecchiare, stendere, stirare, mettere a posto, preparare i vestiti, pagare le bollette, preparare le merende. Buonanotte.

di Teresa Sdralevich (dal Sole 24 Ore del 28 febbraio 2011)