Gli psicologi, i filosofi e la triste scienza

Imperversano nei media i commenti sui volumi che uno psichiatra, Andreoli, e uno psicologo, Legrenzi, hanno recentemente dedicato al rapporto tra la nostra mente e il denaro. In entrambi, sia detto di sfuggita, il Condor non ha trovato traccia di un pensiero originale e che già non si trovi nei classici dell'economia, da Mill a Keynes, o dell'antropologia, da Polanyi a Latouche.

Ciò che stupisce è l'esuberanza con cui evidenti neofiti della materia si lanciano in entusiastiche valutazioni sui contenuti dei libri e - ne consegue inesorabilmente - sull'economia (nota come la triste scienza, per bocca di Thomas Carlyle).

Così, su Repubblica del 28 marzo, tocca leggere le conclusioni populistico-deliranti del "filosofo" Maurizio Ferraris che, commentando il libro di Legrenzi, si spinge a dire che nella gestione del nostro denaro non dobbiamo mai rivolgerci a degli esperti. "Perchè loro faranno gli interessi solo degli azionisti della banca". Ed è per questo, secondo lui, che la massa dei risparmiatori non viene orientata ad investire in Exchange traded fund (ETF) che - a suo dire - sono l'investimento "più sicuro e redditizio che si possa immaginare".

Con buona pace della prudenza generale, dei profili di rischio individuali, degli orizzonti temporali e così via.

Ma un filosofo non dovrebbe essere il primo a sapere di non sapere?