Tra architrave della finanza, power broker, P2 e P4 c'è tanto da leggere e riflettere...
Professor Rossi, Generali e Mediobanca dilaniate da conflitti intestini: la finanza italiana perde gli architravi?
«Se di architrave si vuol parlare, allora ci si deve riferire alla Mediobanca di Cuccia e Maranghi o, più indietro nel tempo, alla Bastogi secondo Beneduce. Ma l' architrave è venuto meno da tempo».
Perché?
«Fino agli anni 90, il sistema era sorretto da Mediobanca, non da Generali troppo eterodirette da via Filodrammatici. Ne dovetti prendere atto io stesso e in pieno consiglio scrissi la lettera delle mie dimissioni. Oggi né Mediobanca né Generali esercitano quella funzione: il sistema è spaccato, il potere frazionato».
E tuttavia sono emersi i banchieri di sistema, Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi.
«Premesso che si tratta di figure diverse, espressione di mondi diversi, con una diversa presa sulle società che presiedono, non credo che i power broker, come direbbero gli inglesi, possano sostituire figure carismatiche come Cuccia, Mattioli o Beneduce. Loro per primi sanno che non potrebbero mai vestire i panni del Grande Inquisitore».
Figura tragica che, nella parabola dostoevskijana, usa violenza e menzogna per governare l' umanità incapace di reggere la responsabilità...
«Oggi il braccio secolare è il flusso del denaro, che nessun power broker può dominare, come invece poteva Cuccia».
Che cosa ha rotto il sistema?
«L' euro e la globalizzazione degli ultimi 10 anni».
Dunque, la modernizzazione.
«La vecchia struttura era chiusa, ma non provinciale. La guidavano uomini che, avendo rapporti di prim' ordine nel mondo, ritenevano adatto all' Italia ammodernare gli ordinamenti giuridici e la politica economica per rendere motrici dello sviluppo le aziende di Stato e le imprese familiari. Fu lo stesso Cuccia, del resto, ad avviare la revisione del capitalismo di Stato con la privatizzazione di Mediobanca».
In realtà, fu il governo a costringerlo rendendo noto il patto tra le banche Iri e i privati, che dava tutto il potere a Cuccia.
«Sì, ma la soluzione la disegnò lui».
Prodi si consola dicendo che, nel 1988, i privati hanno almeno pagato.
«E ha ragione. Resta il fatto che Mediobanca avviò la privatizzazione delle banche. Di quelle stesse banche che, tanti anni prima, Donato Menichella aveva chiamato a scegliere tra la costruzione di un mercato finanziario a sostegno dello sviluppo o la conservazione del modello bancocentrico».
Eppure, negli anni 50 la riforma bancaria del 1936 era indiscussa.
«Menichella vedeva lontano. Non a caso, poi, le privatizzazioni cominciarono dalle banche incontrando Cuccia sul percorso».
Che bilancio fa delle privatizzazioni, di cui lei, con Telecom, fu un artefice?
«Una grande occasione mancata. Fatte in assenza di un mercato finanziario sviluppato, nemmeno lo crearono. Nel 2011 il numero di società quotate è analogo a quello del 1981, quando fui nominato presidente della Consob. E tra le migliori figurano le residue società a partecipazione statale».
Il mercato finanziario basato sui fondi pensione e su quelli sanitari presuppone si faccia business su attività che in Italia si preferisce affidare al non profit e allo Stato. Un male per i finanzieri, un bene per i cittadini. Lei è uomo di sinistra...
«E perciò credo si debba prendere il buono da tutti i sistemi. Un approccio empirico che dà i suoi frutti migliori in Germania dove il mercato finanziario è potente come dimostra la Borsa di Francoforte, ma al tempo stesso temperato dalla presenza dei lavoratori nei consigli di sorveglianza delle grandi imprese. Come direbbe Marta Nussbaum, il modello tedesco combina meglio produttività e solidarietà, capitalismo e umanità».
La Germania non ama la speculazione. Lei invece è uno storico fautore della libertà di Opa.
«Nella commissione Bolkenstein, che varò la XIII direttiva Ue, infine constatammo come le legislazioni nazionali diversificassero il mercato del controllo. Prevalse il favore all' Opa e al principio una testa, un voto, ma non si escluse la reciprocità su cui hanno fatto leva i governi per frenare».
Una sconfitta?
«È stato sconfitto chi faceva del mercato un feticcio ideologico. Thomas Hobbes diceva: "Il mercato come modello dello sviluppo economico ha natura selvaggia". Per questo qualcuno gli ha sempre messo le brache. Del resto, la crisi degli ultimi anni dimostra come il mercato abbia fallito e per salvarsi si sia affidato allo Stato o ai fondi sovrani, soggetti imprevisti negli anni 90. Un fiasco che in Italia, pur meno grave per le banche, sconta in più l' insuccesso delle privatizzazioni quali levatrici di un nuovo capitalismo. L' architrave, se vogliamo, è diventato il governo».
Insomma, dopo Cuccia, Tremonti?
«Non c' è mai stato un ministro dell' Economia potente come Tremonti».
Eppure, sulle nomine pubbliche sembrano influire circoli privati come quello di Luigi Bisignani.
«Ah, Bisignani. Lo trovai nel ' 93 nella Ferruzzi tecnicamente fallita, quando ne assunsi la presidenza. Non ci fu bisogno dei suoi servigi. L' attuale potenza del governo deriva dalla fragilità dell' economia; l' influenza dei poteri opachi dipende a sua volta dalla debolezza dei partiti, ridotti a proprietà dei leader. Quando l' economia e la democrazia avevano soggetti chiari e forti, persino i poteri opachi e criminali avevano un altro spessore. Non vorremo mica paragonare la P4 alla P2 o a Calvi o a Sindona?».
Lei rappresentava la cordata che acquistò il «Corriere» dopo i guasti della P2.
«Già, le azioni Rizzoli erano ancora sotto sequestro, quando accompagnai Cuccia da Bettino Craxi, nel suo ufficio di piazza Duomo. Il leader socialista temeva che il "Corriere" finisse sotto l' egida della Fiat che già aveva la "Stampa". Cuccia lo rassicurò: il giornale sarebbe rimasto nel solco del capitalismo lombardo con una proprietà multipla».
Formula discussa: da Della Valle a Palenzona.
«L' idea affacciata da Palenzona può offrire uno sviluppo attuale alle migliori intenzioni del dopo P2: banche, assicurazioni e industriali farebbero bene a cedere la casa editrice a un editore puro o a una public company, con i giusti statuti a protezione di quel bene pubblico che è l' indipendenza della testata».
Palenzona, esponente delle fondazioni, è quanto di più lontano dal capitalismo anglosassone.
«Il Dodd-Frank Act rivela che il capitalismo Usa è incapace di riformarsi. La Bce ha un attivo, pieno di titoli illiquidi, pari al 23% del Pil dell' Eurozona. In questo contesto, in Italia, le fondazioni sono i nostri fondi sovrani, soggetto terzo, dunque prezioso, tra il capitalismo di Stato residuo e le imprese familiari. Giuliano Amato ha fatto male a pentirsi di averle promosse».
Professor Rossi, Generali e Mediobanca dilaniate da conflitti intestini: la finanza italiana perde gli architravi?
«Se di architrave si vuol parlare, allora ci si deve riferire alla Mediobanca di Cuccia e Maranghi o, più indietro nel tempo, alla Bastogi secondo Beneduce. Ma l' architrave è venuto meno da tempo».
Perché?
«Fino agli anni 90, il sistema era sorretto da Mediobanca, non da Generali troppo eterodirette da via Filodrammatici. Ne dovetti prendere atto io stesso e in pieno consiglio scrissi la lettera delle mie dimissioni. Oggi né Mediobanca né Generali esercitano quella funzione: il sistema è spaccato, il potere frazionato».
E tuttavia sono emersi i banchieri di sistema, Giovanni Bazoli e Cesare Geronzi.
«Premesso che si tratta di figure diverse, espressione di mondi diversi, con una diversa presa sulle società che presiedono, non credo che i power broker, come direbbero gli inglesi, possano sostituire figure carismatiche come Cuccia, Mattioli o Beneduce. Loro per primi sanno che non potrebbero mai vestire i panni del Grande Inquisitore».
Figura tragica che, nella parabola dostoevskijana, usa violenza e menzogna per governare l' umanità incapace di reggere la responsabilità...
«Oggi il braccio secolare è il flusso del denaro, che nessun power broker può dominare, come invece poteva Cuccia».
Che cosa ha rotto il sistema?
«L' euro e la globalizzazione degli ultimi 10 anni».
Dunque, la modernizzazione.
«La vecchia struttura era chiusa, ma non provinciale. La guidavano uomini che, avendo rapporti di prim' ordine nel mondo, ritenevano adatto all' Italia ammodernare gli ordinamenti giuridici e la politica economica per rendere motrici dello sviluppo le aziende di Stato e le imprese familiari. Fu lo stesso Cuccia, del resto, ad avviare la revisione del capitalismo di Stato con la privatizzazione di Mediobanca».
In realtà, fu il governo a costringerlo rendendo noto il patto tra le banche Iri e i privati, che dava tutto il potere a Cuccia.
«Sì, ma la soluzione la disegnò lui».
Prodi si consola dicendo che, nel 1988, i privati hanno almeno pagato.
«E ha ragione. Resta il fatto che Mediobanca avviò la privatizzazione delle banche. Di quelle stesse banche che, tanti anni prima, Donato Menichella aveva chiamato a scegliere tra la costruzione di un mercato finanziario a sostegno dello sviluppo o la conservazione del modello bancocentrico».
Eppure, negli anni 50 la riforma bancaria del 1936 era indiscussa.
«Menichella vedeva lontano. Non a caso, poi, le privatizzazioni cominciarono dalle banche incontrando Cuccia sul percorso».
Che bilancio fa delle privatizzazioni, di cui lei, con Telecom, fu un artefice?
«Una grande occasione mancata. Fatte in assenza di un mercato finanziario sviluppato, nemmeno lo crearono. Nel 2011 il numero di società quotate è analogo a quello del 1981, quando fui nominato presidente della Consob. E tra le migliori figurano le residue società a partecipazione statale».
Il mercato finanziario basato sui fondi pensione e su quelli sanitari presuppone si faccia business su attività che in Italia si preferisce affidare al non profit e allo Stato. Un male per i finanzieri, un bene per i cittadini. Lei è uomo di sinistra...
«E perciò credo si debba prendere il buono da tutti i sistemi. Un approccio empirico che dà i suoi frutti migliori in Germania dove il mercato finanziario è potente come dimostra la Borsa di Francoforte, ma al tempo stesso temperato dalla presenza dei lavoratori nei consigli di sorveglianza delle grandi imprese. Come direbbe Marta Nussbaum, il modello tedesco combina meglio produttività e solidarietà, capitalismo e umanità».
La Germania non ama la speculazione. Lei invece è uno storico fautore della libertà di Opa.
«Nella commissione Bolkenstein, che varò la XIII direttiva Ue, infine constatammo come le legislazioni nazionali diversificassero il mercato del controllo. Prevalse il favore all' Opa e al principio una testa, un voto, ma non si escluse la reciprocità su cui hanno fatto leva i governi per frenare».
Una sconfitta?
«È stato sconfitto chi faceva del mercato un feticcio ideologico. Thomas Hobbes diceva: "Il mercato come modello dello sviluppo economico ha natura selvaggia". Per questo qualcuno gli ha sempre messo le brache. Del resto, la crisi degli ultimi anni dimostra come il mercato abbia fallito e per salvarsi si sia affidato allo Stato o ai fondi sovrani, soggetti imprevisti negli anni 90. Un fiasco che in Italia, pur meno grave per le banche, sconta in più l' insuccesso delle privatizzazioni quali levatrici di un nuovo capitalismo. L' architrave, se vogliamo, è diventato il governo».
Insomma, dopo Cuccia, Tremonti?
«Non c' è mai stato un ministro dell' Economia potente come Tremonti».
Eppure, sulle nomine pubbliche sembrano influire circoli privati come quello di Luigi Bisignani.
«Ah, Bisignani. Lo trovai nel ' 93 nella Ferruzzi tecnicamente fallita, quando ne assunsi la presidenza. Non ci fu bisogno dei suoi servigi. L' attuale potenza del governo deriva dalla fragilità dell' economia; l' influenza dei poteri opachi dipende a sua volta dalla debolezza dei partiti, ridotti a proprietà dei leader. Quando l' economia e la democrazia avevano soggetti chiari e forti, persino i poteri opachi e criminali avevano un altro spessore. Non vorremo mica paragonare la P4 alla P2 o a Calvi o a Sindona?».
Lei rappresentava la cordata che acquistò il «Corriere» dopo i guasti della P2.
«Già, le azioni Rizzoli erano ancora sotto sequestro, quando accompagnai Cuccia da Bettino Craxi, nel suo ufficio di piazza Duomo. Il leader socialista temeva che il "Corriere" finisse sotto l' egida della Fiat che già aveva la "Stampa". Cuccia lo rassicurò: il giornale sarebbe rimasto nel solco del capitalismo lombardo con una proprietà multipla».
Formula discussa: da Della Valle a Palenzona.
«L' idea affacciata da Palenzona può offrire uno sviluppo attuale alle migliori intenzioni del dopo P2: banche, assicurazioni e industriali farebbero bene a cedere la casa editrice a un editore puro o a una public company, con i giusti statuti a protezione di quel bene pubblico che è l' indipendenza della testata».
Palenzona, esponente delle fondazioni, è quanto di più lontano dal capitalismo anglosassone.
«Il Dodd-Frank Act rivela che il capitalismo Usa è incapace di riformarsi. La Bce ha un attivo, pieno di titoli illiquidi, pari al 23% del Pil dell' Eurozona. In questo contesto, in Italia, le fondazioni sono i nostri fondi sovrani, soggetto terzo, dunque prezioso, tra il capitalismo di Stato residuo e le imprese familiari. Giuliano Amato ha fatto male a pentirsi di averle promosse».