Acqua, referendum e sinistra trinariciuta

Qualcuno non la dice tutta, e molti hanno le idee confuse.

Qual è l'effetto del secondo quesito referendario affermatosi nell'ultima tornata elettorale? In sostanza viene resa illecita la remunerazione del capitale investito.

Cioè, da che mondo è mondo, da che azienda è azienda, da che bilancio è bilancio, del capitale proprio degli azionisti. Non si devono cioè distribuire dividendi, quella quota di utili che finiscono nelle tasche degli azionisti in proporzione al capitale detenuto.

Nulla vieta però che la gestione dell'acquedotto finisca in utile (faccia profitti) se questi verranno reinvestiti nell'azienda. È ciò che accade in ogni (sana) organizzazione nonprofit.
O nelle imprese cooperative, con poche differenze di dettaglio.

Per questo, nessuno può aspettarsi che dal successo di quel quesito referendario si determini un'automatica riduzione delle tariffe. Potrebbe essere un eventuale effetto, senza dubbio, ma non è affatto scontato, dipendendo da una pluralità di fattori: assetto proprietario, livello di indebitamento, efficienza gestionale, andamento dei volumi, eccetera eccetera.

Allora le polemiche in corso sulla gestione dell'Acquedotto pugliese risultano quanto mai bizzarre: perché non si capisce se siano mosse da profonda incomprensione rispetto a quanto appena detto o da malafede.

Trattandosi di discussione tutta interna alla peggiore (nel senso di iper-trinariciuta) sinistra c'è da aspettarsi che, ainoi, entrambi i citati fattori stiano agendo contemporaneamente.
I risultati non potranno che essere pessimi. Per la sinistra ciarlatana (c'è da augurarselo) o per l'Acquedotto pugliese (e sarebbe un peccato per i poveri abitanti del tavoliere). Oppure, al peggio, per entrambi.

Ovviamente, il tutto mentre i veri speculatori, senza che nessuno se ne accorga, già stanno tramando su come aggirare, loro sì, il dettato normativo.