Un buon governo (armato)

L'industria militare italiana fa il botto. Ammontano infatti a 4,9 miliardi di euro le autorizzazioni all'esportazione di armamenti rilasciate dal Governo nel 2009 alle aziende del settore con un incremento di ordinativi internazionali (il 61%) sconosciuto ad altri settori dell'industria nazionale. Ed hanno superato quota 2,2 miliardi di euro le effettive consegne di materiali militari. Un duplice record che annovera il BelPaese tra i big player in quello che il "Rapporto della Presidenza del Consiglio sull'esportazione di materiali militari" pubblicato ieri definisce il "mercato globale" degli armamenti (pg. 25).

Un nuovo record ottenuto soprattutto grazie alla commessa da oltre 1,1 miliardi di euro da parte della Al-Quwwat al-Jawwiyya al-Sa'udiyya, la Reale Aeronautica Saudita per i caccia multiruolo Eurofighter Typhoon (EFA). Un colossale e torbido affaire ben descritto dall'approfondita analisi di Giorgio Beretta.

La trovate qui.

Papillon a Ponte Galeria

Sono in isolamento i detenuti che hanno capeggiato la rivolta di stanotte nel centro di identificazione e espulsione di Roma, a Ponte Galeria. Una ventina in tutto, identificati dalle telecamere a circuito chiuso, potrebbero essere nelle prossime ore arrestati per i danneggiamenti causati nella notte. La notizia è stata fornita a Redattore Sociale direttamente dai detenuti del Cie romano.

“È iniziato tutto verso le 22,30 – racconta R. - quando la polizia ha picchiato uno dei ragazzi che aveva tentato la fuga insieme a altri quattro o cinque che sono riusciti a scappare. Allora è esplosa la rabbia. Alcuni dei detenuti hanno iniziato a lanciare agli agenti delle bottigliette dell'acqua, poi hanno divelto le porte e i bagni, e hanno dato fuoco ai materassi e alle coperte e sono saliti sui tetti. Saranno stati una ventina di persone”.

B. invece ci ha confermato gli spari, registrati da una telefonata in notturna da radio Onda Rossa: “Hanno sparato cinque colpi in aria, perchè ci calmassimo”.

R. non ha dubbi: è la rabbia che è esplosa stanotte a Ponte Galeria. “Sono dieci giorni che sto dentro, e ogni giorno ne ho vista una. Chi si taglia con le lamette, chi minaccia il suicidio”. Lui è in Italia dal 1984, ed è appena uscito dal carcere per una condanna di un anno per spaccio. La sua paura più grande, paradossalmente, è di non essere rimpatriato. “Ma come? Dopo 26 anni in Italia non mi hanno identificato? E dopo un anno di carcere devo fare ancora sei mesi di detenzione, poi se non riescono a rimpatriarmi mi rimettono in libertà col foglio di via, che vale cinque giorni, e dal sesto giorno se mi fermano mi condannano per un altro anno, e poi dopo il carcere ritorno al Cie, non è possibile!”.

Intanto le celle della sezione maschile del Cie di Roma sono isolate una dall'altra. La tensione è ancora alta e le forze dell'ordine presidiano la struttura. Difficile avvio della nuova gestione del centro, che dal 2010 è passato dalla Croce rossa italiana alla cooperativa Auxilium (che già gestisce il centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Bari). Al Cie di Ponte Galeria, un anno fa, il 20 marzo del 2009, era morto un cittadino algerino di 42 anni per arresto cardiaco senza ricevere la dovuta assistenza medica.

Ma le tensioni non sono solo a Roma. Dall'entrata in vigore del pacchetto sicurezza, l'8 agosto 2009, il prolungamento del periodo di trattenimento nei Cie, passato da 2 a 6 mesi, ha generato proteste, rivolte e scioperi della fame nei centri di tutta Italia. L'ultimo a Milano, dove a marzo uno sciopero della fame dei detentui si era protatto per cinque giorni.

Decadenza, fascismi e tentennamenti

Dunque la decadenza lenta e velenosa del tele-dittatore comincia a
mostrare il suo lascito: il Piemonte e il Veneto sono leghisti, la
Lombardia resta ciellina, il Lazio è fascista. Sfumature di destra. Di
una destra che trova assonanze comuni nell'aggressività, fisica e
verbale, nella xenofobia, nell'omofobia e in un sapiente clericalismo.
Tra regioni del nord e del centro-sud, resta poi la differenza di come
il fenomeno corruttivo prende forma, spesso - va precisato -
indifferente ai colori di chi amministra.

Anche per questo non ci si può né stupire né rammaricare per la
perdita di Campania e Calabria, esempi di mal-governo del
centrosinistra.

Che deve smetterla di accontentarsi di apparire - ed essere - solo
'meno peggio' dell'avversario. Come dimostra la bella e determinata
vittoria di Vendola in Puglia.

Servirà questa nuova scossa al tentennante PD? Qualcuno troverà un po'
di coraggio?

Servono risposte, e Amleto non sembra aver più molto tempo per
riprendersi il regno...

Vigilare, vigilare

Ieri mattina nella sede del comitato elettorale di Renata Polverini,
in via Imbriani, il Popolo della Libertà ha tenuto un corso speciale
per i cinquemila "gladiatori del voto" che vigileranno sullo spoglio
delle schede e «preserveranno la chiara intenzione di voto degli
elettori del Pdl». L´indicazione dei dirigenti del partito è di «far
ritenere valide anche tutte quelle schede che riportino accanto alla
scelta di una lista che appoggia la Polverini anche il nome di uno dei
candidati della lista del Pdl esclusa».

Una indicazione che contrasta però con la circolare inviata venerdì
sera dalla Prefettura e in cui si precisa che «la giurisprudenza
prevalente del Consiglio di Stato è ferma nel ritenere che è nullo il
voto che contenga l´espressione di preferenza per un nominativo che
non corrisponda a quello di nessuno dei candidati, costituendo
siffatta erronea indicazione un palese segno di riconoscimento del
voto».

Non è un libro di Stefano Benni del 1988 o un brano da George Orwell.
No, è repubblica.it del 28 marzo 2010...

Vigiliamo, tutti.

Non c'è alternativa

Andare a votare, domani o lunedì, è una scelta ineludibile.

Perché non rischiamo di lasciare ai nostri figli la tragica eredità di
un neo-regime fascista.

No. Gli stiamo già lasciando gli effetti disastrosi di un grottesco
monopolio del ridicolo, che uccide il pensiero, le ambizioni, le
voglie di ogni popolo.

Votiamo, domani, e votiamo contro il PDL del miliardario ridens, la
Lega dei razzisti evasori, i fascisti che si annidano da entrambe le
parti.

Se non hai la fortuna - rara - di trovare, dall'altra parte, un
candidato e una coalizione degni di essere votati, vota 'contro'. Non
è bello come votare 'per', ma se pensi a Minzolini, Fede, Feltri,
Belpietro, Vespa, un godimento lo proverai lo stesso.

Obama, buona riforma?

La legge di riforma sanitaria firmata da Obama a Washington è complessa, ha elementi importanti, anche se non è quel salto di qualità che giustificherebbe l'appellativo "storico", abusato in queste ore in America e anche in Europa. Storica fu la riforma del Medicare e del Medicaid del 1965, firmata da Johnson. Quella di Obama è una riforma importante perché viene dopo diversi anni durante i quali non si è riusciti a fare molto sul fronte sanitario; una riforma che ha elementi potenzialmente buoni, se saranno applicati e sviluppati.

Ma per ora non innova molto. Estende l'esistente. Gli Stati Uniti hanno una sanità costosa, con 7500 dollari l'anno di spesa pro capite, più del doppio della media dei 30 paesi Ocse e ben più dei 4 mila dollari del vicino Canada. Gli Stati Uniti sono insieme a Turchia e Canada fra i tre, nell'Ocse, a non avere il single payer, cioè la cassa unica, che è la vera discriminante fra i sistemi. Un sistema può essere nella gestione dei servizi tutto pubblico, semipubblico, solo in parte pubblico, ma finché chi paga è uno solo, lo Stato, con opportune quote prelevate da tutti i redditi e da tutti i datori di lavoro, il sistema è pubblico, cioè single payer, con un responsabile centrale per la sanità. Oppure può essere a prevalenza privato, come appunto Stati Uniti, Turchia e Messico, dove Stato in parte e cittadini in gran parte concorrono alla spesa.

Il Medicare che assicura oggi l'assistenza a 45 milioni di over 65 o comunque anziani, o invalidi ed equiparati, è un sistema single payer, il primo e per ora l'unico esistente negli Stati Uniti, nato come emendamento al Social Security Act del 1935, che si era fermato alle pensioni pubbliche. È diviso in tre gestioni diverse: assistenza medica, assistenza ospedaliera e copertura farmaceutica. È finanziato con un prelievo dell'1,45% sul lavoratore e altrettanto sull'impresa, o del 2,90 sul lavoratore autonomo. Si può avere il Medicare anche prima dei 65 anni o comunque della pensione, nel caso delle dialisi e di alcune altre condizioni cliniche o malattie. Ci sono limiti di spesa per la degenza in cliniche specializzate, che non può superare i 100 giorni e con un ticket di 133 dollari al giorno per quelli successivi ai primi 20. Chi vuole stare tranquillo aggiunge al Medicare una polizza privata integrativa. I costi complessivi del Medicare sono raddoppiati ogni 4 anni dal 1966 e hanno sfiorato i 600 miliardi nel 2008, il 20% della spesa federale.

C'è poi il Medicaid che non è proprio un single payer, ma un dual payer, perché i costi sono divisi tra casse federali e statali. È comunque un public payer. Varato ugualmente nel '65 da Johnson, e ugualmente un emendamento al Social Security Act, cambia spesso nome nei vari Stati, ma funziona con gli stessi principi. Assiste in totale 49 milioni di americani, dei quali quasi 7 hanno anche il Medicare, è costato 204 miliardi nel 2008 ed è riservato non a tutti i poveri ma ad alcune categorie a bassissimo reddito: bambini e i loro genitori, donne incinte e neo-madri, invalidi.

C'è poi il sistema sanitario per i militari e reduci e le loro famiglie, anche questo single payer. Circa 170 milioni di americani, il 58%, hanno una polizza privata, 20 milioni stipulata direttamente e il resto via programmi legati al lavoro.

La riforma di Obama non estende il sistema pubblico, o single payer, ma estende questo sistema privato rendendo obbligatorio per circa 32 milioni dei 45 che oggi non hanno assicurazione l'acqusito di una polizza privata. Non fornisce come promesso in campagna elettorale e anche dopo (ma sempre con prudenza da Obama) una public option, la possibilità cioè di acquistare una polizza emessa da un ente pubblico.

Aiuta i redditi più bassi con un contributo al pagamento del premio. In più mette una serie di limitazioni al comportamento delle compagnie, in cambio del fatto che queste si troveranno a partire dal 2014 con 32 milioni circa di nuovi clienti in più: non potranno ad esempio rifiutare una polizza a chi ha una storia medica preesistente, ad esempio ha avuto un infarto, né potranno più rifiutare le cure a chi improvvisamente contrae una malattia costosa.

Si tratta di vedere però come queste regole verranno monitorate e rese coercitive, in contratti che restano privatistici e possono sempre essere impugnati davanti al giudicie. E che effetto questo avrà sul costo delle polizze. La riforma Obama non è un secondo cambiamento (dopo Medicare e Medicaid) del sistema sanitario americano in senso più pubblico, ma una estensione dell'attuale sistema privato a gran parte di chi fino ad oggi ne era sprovvisto.

Social lending, peer to peer, l'anti-banca?

Un bel dibattito, su una di quelle innovazioni che farà parlare ancora tanto di sè.
Se non ci credete, approfondite e fatevi un'idea.
Ne riparleremo...

Conflitti di interesse? Nooooooo

Silvio Berlusconi e' il più ricco tra i deputati e guida la top ten dei milionari di Montecitorio, staccando di ben 18 milioni di euro il suo più vicino inseguitore, Santo Versace.


In base alla dichiarazione dei redditi 2009 e' tutta targata Pdl la classifica dei 10 deputati più ricchi; tra questi, ben rappresentati gli avvocati-parlamentari. I


l premier in un anno ha accresciuto il proprio reddito di circa nove milioni.


A quando il tempo dei forconi?


Finanza armata, ancora...

Al risparmiatore può capitare di finanziare le fabbriche d'armi, senza saperlo. E nei fondi di investimento si annida il rischio. È quanto emerge dalla ricerca condotta dall'Osservatorio sul commercio di armi di Ires Toscana, che ha analizzato 417 fondi italiani: ben 288 contengono azioni di aziende a produzione militare. "Abbiamo preso in considerazione i primi 50 titoli in cui è investito ciascun fondo - spiega Chiara Bonaiuti, coordinatrice della ricerca - e li abbiamo incrociati con le prime 100 aziende produttrici di armi elaborato dal Sipri (Stockholm international peace research institute)". In particolare, sono 85 i fondi che hanno titoli di Finmeccanica, all'ottavo posto nella classifica del Sipri, per un totale di quasi 5 miliardi di euro.

Non è facile per un risparmiatore sapere se i suoi soldi vengono utilizzati per finanziare il settore delle armi. "Quello che ciascuno può fare è chiedere alla propria banca più trasparenza - spiega Chiara Bonaiuti -. Bisogna pretendere che di ogni fondo siano specificati i titoli in cui sono investiti e poi fare le opportune ricerche". Inoltre, bisogna informarsi se la propria banca ha adottato dei criteri per la sostenibilità dei fondi. "Per ora sono poche le banche che hanno fatto questo passo", aggiunge Chiara Bonaiuti.

I risultati completi della ricerca, che analizza diversi aspetti del rapporto fra banche, finanza e commercio delle armi, verranno presentati a Terra futura (28-30 maggio a Firenze). I dati sui fondi di investimento sono stati anticipati, invece, in un incontro nell'ambito di "Fa' la cosa giusta!", la fiera del consumo critico e degli stili di vita sostenibili che si è tenuta dal 12 ai 14 marzo scorsi.

40 associazioni in 4 chilometri

Via Padova, fino a una decina d'anni fa, era una strada piena di vetrine chiuse.

Oggi è un susseguirsi di panetterie, negozi, parrucchieri cinesi, bar e macellerie halal dove si possono incontrare anche i pensionati che lì trovano carne di qualità a basso prezzo; l'esperienza della Casa di Cultura islamica dove si fa la preghiera in italiano e si invitano le famiglie musulmane a mandare i bambini nelle scuole pubbliche; un tessuto civile e solidale nato dal basso, nell'indifferenza delle istituzioni e dei partiti; il problema della sicurezza, ma ancor più del degrado e la preoccupante condizione di tanti giovani immigrati lasciati in balia di se stessi e fatalmente attratti dalle bande di strada.

Bella l'intervista a Matteo Speroni, Barbara Pianura, Asfa Mahmoud e Massimo Conte pubblicata su Una città.

Questione d'interpretazione

Prima di applicare il settimo comandamento, leggete bene il decreto interpretativo. Serve un decreto interpretativo per gli appalti in Abruzzo, per le belle scopate di palazzo Grazioli, per lo schiavismo a Rosarno, per i senatori del Pdl eletti dalla 'ndrangheta. Per il coro di Ratisbona e per i gay a tassametro del Vaticano.

Per Maroni che dice «è stata data una interpretazione autentica della legge», urge un decreto interpretativo che lo faccia sembrare una persona seria. Il decreto interpretativo che rende regolari i fuorigioco del Milan dovrà essere rapidissimo, mica si può restare allo stadio al freddo due giorni ad aspettare il Tar. Con un buon decreto interpretativo la bella Noemi avrebbe avuto 18 anni già a sedici e mezzo. Formalmente ineccepibile il decreto interpretativo con cui Minzolini ha trasformato un colpevole prescritto in un innocente. Un decreto interpretativo potrebbe far sembrare un golpe una specie di trionfo della democrazia, o trasformare la corruzione in soluzione all'emergenza.

Il disprezzo della legge, l'arroganza del più forte, la dittatura soft, la censura e i non allineati ridotti al silenzio, non c'è nulla che non possa risolversi con un decreto interpretativo. Probabile che il ministro della difesa di una democrazia occidentale, che comanda parà e carri armati, che si dice «disposto a tutto» non venga allontanato con vergogna soltanto grazie a un decreto interpretativo.

Le nostre speranze, i nostri diritti, la nostra libertà, le nostre regole, le norme, i doveri, sono da oggi variabili, modificabili con decreto interpretativo, le nostre vite stesse sono interpretabili a seconda delle necessità del regime, il nostro futuro e la nostra dignità sono interpretabili a piacere e non servono nemmeno la forestale, i servizi segreti, l'aviazione, le camicie verdi, le ronde, i poliziotti del G8 di Genova.

Una grande festa del decreto interpretativo si terrà ogni anno, basta una telefonata di Denis Verdini. Buffet a cura del genero di Gianni Letta. Napolitano firma. Avete mica un passaporto francese da prestarmi?

Alessandro Robecchi

Qual è il linguaggio della sinistra?

«Non può dirsi popolare un partito che non riesce a parlare con chi guarda Rete 4». Lo ha detto il nuovo segretario del Pd Bersani nel suo discorso di insediamento, ed è una frase nevralgica. Fotografa la fatica, e forse l´angoscia, di un partito che si sente scalzato, se non dall´anima popolare del Paese, da alcune delle sue pulsioni e perfino delle sue abitudini. Un partito di insegnanti, di amministratori, di piccoli intellettuali, di ceto medio più o meno riflessivo, che pur contando su molti milioni di elettori sente sfocato e quasi inerte il suo rapporto con quelle che una volta si chiamavano masse popolari; e oggi sono il magma confuso, e confondibile, dei consumatori, dell´audience, delle clientele pubblicitarie e politiche (meglio: delle clientele pubblicitarie promosse a clientele politiche dal febbrile e a suo modo geniale lavoro del partito-azienda).

Bersani ha ragione, e mette (anzi rimette) il dito nella piaga. Ma enunciare con schiettezza un problema, tra l´altro noto e oramai annoso, ovviamente non basta a risolverlo. Specie se la soluzione di quel problema va a toccare tutte, o quasi, le ragioni profonde di una crisi di linguaggio che, per la sinistra italiana e non solo, è pluridecennale. In estrema sintesi: se per farsi capire da chi guarda Rete 4 bisogna parlare come Rete 4, allora ogni differenza, culturale e politica, perde senso e valore. Allora - brutalmente - Berlusconi ha stravinto. Perché la "chiave" di quel linguaggio è la semplificazione, e il suo successo "popolare" dipende esattamente dalla riduzione della realtà a un gradevole, maneggevole accessorio. Mentre la "chiave", pesante come una croce, maledetta come un dovere, che la sinistra si porta in spalle, è la complessità.

È la cognizione che la realtà è una cosa complicata, che la sua lettura è una cosa complicata, e che il primo inganno da disinnescare, se si vuole provare a essere una comunità cosciente, è appunto la semplificazione in quanto tale: non solo e non tanto perché è strumento di propaganda, quanto perché in sé, nella politica come nella vita, la semplificazione è menzogna.

Il rovescio della medaglia, ben noto a chiunque faccia comunicazione o faccia politica o faccia, a qualunque titolo, lavoro sociale, è che la complicazione è complicata. Genera un linguaggio spesso criptico, spesso respingente, e nei casi peggiori altezzoso e inconcludente in pari misura: ciò che si riassume, volgarmente ma significativamente, nelle accuse di "snobismo" e di "antipatia" che oggi grandinano su molta sinistra e sugli intellettuali di ogni calibro, dall´accademico che si occupa di Rilke e non di Moccia, all´autore televisivo che preferisce invitare Ivano Fossati piuttosto che Pupo.

Tradotto in politica, proprio quella politica territoriale e popolare che a Bersani sta molto a cuore, questo significa che se la sinistra, per "farsi capire dal popolo", cerca di fronteggiare il breviario di slogan oggi in corso con un contro-breviario di slogan alternativi, e cerca di munirsi di una contro-suggestione virtuosa da opporre alla suggestione berlusconiana, perde anche se dovesse vincere. Vale a dire: baratterebbe, per qualche voto in più, proprio quel residuo e prezioso patrimonio di pazienza intellettuale, di capacità analitica, che Bersani ha rivendicato, nella sua campagna per le primarie, come un valore identitario. Lo stesso Bersani, dichiarando recentemente che non sa cosa farsene di candidature puramente simboliche (stoccata al veltronismo), mostra di non gradire la politica-spettacolo, quella che sa guadagnarsi qualche inquadratura di telegiornale in più ma perde aderenza nella vita sociale, come un pneumatico di bella presenza ma di grip scadente.

Ma la politica della bella presenza, delle cerimonie edificanti, dei fondali color pastello, del cerone, delle frasi facili e delle soluzioni magiche, è esattamente il campo di battaglia dove più o meno tutti oggi ci si muove. Chi vuole entrare in quel campo, come tocca a Bersani e al suo Pd, con idee proprie e modi propri, deve sapere in anticipo che parte svantaggiato, che parte "antipatico", che lavora in salita.

Quando si dice che oggi, in Italia, il conflitto politico è prima di tutto un conflitto culturale, si vuole dire esattamente questo: che bisogna cercare di restituire allo sguardo pubblico una profondità sgradita. E nessuno più del "popolo" - come sapeva bene un tempo la sinistra - ha bisogno di sentirsi rispettato nel suo diritto di conoscenza e di cultura, piuttosto che relegato nel cliché, profondamente classista, di una massa immatura e bambina, da intrattenere e spremere con un palinsesto di sogni. Di destra o di sinistra, sempre sogni rimangono.

Michele Serra

Il tesoro delle coop

Le coop sono ricche, in Italia. Hanno una lunga storia, una tradizione di efficienza e cura del consumatore (socio) e questo disturba qualcuno. Così c'è sempre qualche liberal (o liberist) che si diverte a fargli le pulci, cercando di metterne in cattiva luce ruolo e funzione.

Così, nella speranza di generare dissenso sociale attorno a queste imprese (alternative), ora qualcuno ha scoperto quanto vale il tesoro dei prestiti sociali che le Coop raccolgono dai propri soci. Circa 12 miliardi di euro (come Banca Sella o il Banco di Sicilia) .

Così si scopre che il movimento cooperativo (si può ancora chiamare così) detiene il 3,62% del Monte Paschi di Siena, l'1,66% di Carige, il 5,5% di UGF (quasi ovvio).

Fa paura? No, anzi, fa dormire sonni più tranquilli all'italiano che non vuole finire come i poveri americani sommersi dalla crisi subrime.

Contagiati dalle emozioni

Secondo uno studio dell'Università di Torino le emozioni sono contagiose. Si trasmettono dunque, inconsapevolmente, da una persona all'altra.

Quando vediamo qualcuno che sorride o gioisce tendiamo a provare la stessa emozione. Il dato sorprendente è che ciò avviene anche quando lo stimolo non può essere percepito visivamente, dunque coscientemente, a causa della cecità.

Purtroppo, tutto questo vale anche per le pulsioni negative.

La microfinanza a Basilea

Cosa c'entra la microfinanza con il Comitato di Basilea? La microfinanza non è quella delle banche alternative? Sì. E il Comitato di Basilea non è quello di cui tutte le imprese parlano male perchè con le sue regolette tutela i mercati finanziari e affossa l'economia reale? Più o meno. E allora?

Allora, come accade nei momenti turbolenti, mondi lontani si incontrano.
Il Comitato di Basilea ha lanciato una consultazione pubblica sulla microfinanza. Obiettivo: dare alle banche centrali dei diversi paesi del mondo delle linee guida su come vigilare - dunque anche regolamentare, normare, definire ecc. - la microfinanza.
La consultazione è pubblica, chiunque può partecipare, anche via e-mail, entro il 7 maggio 2010.

Il documento è interessante, merita di essere letto. Se preferite evitare i tecnicismi, almeno la seconda parte, con una rassegna delle pratiche di microfinanza in 27 paesi, va guardata.

Se poi volete saperne di più su come la microfinanza è regolamentata nel mondo, è molto bello il sito a ciò dedicato dal CGAP, un think-tank indipendente.

Dilettanti allo sbaraglio

L'ufficio centrale elettorale della Corte d'Appello di Roma non ha ammesso alle elezioni regionali del Lazio il listino collegato a Renata Polverini.

Si tratterebbe pero' solo della mancanza della firma di uno dei rappresentanti di lista. Lo stop al listino della Polverini arriva dopo la mancata ammissione della lista del Pdl alla provincia di Roma su cui e' atteso il pronunciamento della Corte d'appello.

Esclusi anche i listini di Michele Baldi, Roberto Fiore, Luca Romagnoli e Francesco Battaglia.

A Milano intanto la lista di Roberto Formigoni, non ammessa alle elezioni ha presentato ricorso.

''Sono dilettanti allo sbaraglio'', ha commentato il leader della Lega Nord, Umberto Bossi parlando dei casi di Lazio e Lombardia.

Voi gli fareste governare una regione?


L'ambiente come peso

Che tristezza, il Sole24Ore di oggi. A pagina 21 tocca leggere: " La Via blocca 1,5 miliardi". Sottotitolo: la durata delle procedure penalizza la competitività delle imprese.

La Via, per chi non lo sapesse, è la Valutazione di impatto ambientale, obbligatoria per legge per le opere pubbliche di un certo valore.
E' una di quelle cose che, sulla carta, fanno dell'Italia un paese avanzato nella tutela ambientale. Nella pratica, tra corruzione e inefficienza amministrativa, si rivela poco utile, come dimostrano le vicende della TAV o del disastrato stato delle nostre coste...

Ma il giornale confindustriale, guidato dal sempre più stralunato Gianni Riotta, sembra provenire dal Medioevo: l'ambiente? è un fardello! la burocrazia rallenta? eliminiamo la sua funzione (invece di migliorarne il funzionamento)!

L'ambiente come la crisi finanziaria? le cui cause sono state negate per un buon decennio dagli espertoni ospitati sul quotidiano rosa pallido?

Aspettiamo, allora, le prossime lacrime di coccodrillo...