Le vere politiche per la famiglia

La destra, o almeno quella sua versione populista e cafona che c'è in Italia (Lega, Storace e compari, da Berlusconi a Casini, passando per Giovanardi, in funzione dell'umore che tira al momento), si riempie la bocca col termine famiglia e con la necessità di sostenere la famiglia, a cui aggiunge la tiritera sull'immigrazione che soffocherebbe l'identità culturale del paese e dunque sulla necessità di sostenere chi - italiano - fa i figli.

Ma è portatrice di una cultura di subalternità della donna, lasciando trapelare il messaggio che per fare più figli la donna (ancora) deve stare a casa.

Allora acquista valore, pur nel 2010, lo studio di Daniela Del Boca e Alessandro Rosina.

La natalità in Italia continua a essere bassa. Ma anche in un anno così generalmente depresso come il 2009, c'è chi ha resistito meglio e chi ha ceduto di più. La fecondità cresce in Emilia Romagna e scende ancora in Campania.

Ovvero cala nella regione nella quale l'occupazione femminile è più bassa e sale nell'unica regione italiana che in proposito ha già superato gli obiettivi di Lisbona. Un risultato paradossale a prima vista, che si spiega con la ben diversa quantità e qualità dei servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia.

Corruzione che non si vede

La corruzione in Italia resta un fenomeno "grave": le denunce nel 2009 sono aumentate del 229% rispetto all'anno precedente. Lo ha detto il Procuratore Generale della Corte dei Conti Mario Ristuccia intervenendo alla Cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario della magistratura contabile.


In particolare, dai dati della Guardia di Finanza nel 2009 è emerso un aumento del 229% delle denunce per corruzione e del 153% di quelle per concussione rispetto al 2008.

Ma il numero delle denunce quanto esprime la gravità del problema? Alla radio ho sentito dire che la Toscana è la regione più corrotta, perchè quella con maggior numero di denunce.


Scherzi del fenomeni nascosti. O, se vogliamo, distorsioni da osservazione. Se un fenomeno per definizione sottotraccia emerge cosa significa? che è più forte che altrove o che la "traccia" che lo nasconde è più fragile?


Nel caso della corruzione vale la 2. Maggiore capitale sociale, maggiore tenuta e qualità delle amministrazioni, fa cì che siano più evidenti le anomalie, le ingiustizie, dunque scatti la denuncia.


Laddove la corruzione sia quasi-normale, le denunce non ci saranno perchè il cittadino avrà ormai perso ogni speranza di equità...


Valigia pronta per Faissola

L'ad di Unicredit Alessandro Profumo e il presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo Enrico Salza fanno parte dei cinque saggi nominati dal comitato esecutivo dell'Abi per individuare il candidato alla presidenza del prossimo biennio.

E' quanto informa l'Abi al termine del comitato esecutivo
tenuto il 17 febbraio. Gli altri componenti sono Alessandro Azzi (Federcasse), Giovanni Berneschi (Carige) e Camillo Venesio (Banca Piemonte) in rappresentanza delle Bcc, delle banche medie e di quelle private.

I saggi avvieranno le consultazioni con i banchieri del comitato esecutivo in vista dell'assemblea del 15 luglio che rinnovera' tutte le cariche e gli organi associativi. Il presidente sara' cosi' eletto dal nuovo consiglio. Fin qui le agenzie di pochi giorni fa.

Qualche commento:

- Profumo ha votato contro (insieme ad Arpe) nell'occasione della prima nomina di Faissola e si è astenuto nella seconda votazione;
- Passera e Bazoli hanno fatto capire negli ultimi giorni che all'ABI serve un presidente forte e giovane, come Mussari;
- Faissola è talmente schiacciato sul governo che molte banche lo ritengono inadeguato a tenere testa al fenomeno Tremonti.

Stando così le cose, quanto siete disposti a scommettere sulla conferma di Faissola?

Investire nell'economia reale

La Camera di Commercio di Milano ha costituito Futurimpresa sgr, societa' di gestione del risparmio creata con l'obiettivo di sostenere le piccole e medie imprese lombarde nei processi di sviluppo.

Con questo scopo ha creato un fondo d'investimento chiuso, Finanza e Sviluppo Impresa, gia' autorizzato dalla Banca d'Italia e operativo (anche se sul relativo sito non se ne trova traccia, ma forse è solo questione di aggiornamento degli archivi).

Avra' una dotazione di 80 milioni di euro, gia' sottoscritta per il 50% dai promotori dell'iniziativa.

La Camera di commercio di Bergamo ne possiede il 18%, la Camera di commercio di Brescia il 18% e quella di Como il 9%.

Presidente della sgr e' Francesco Micheli, amministratore delegato Luigi Glarey. La parte rimanente del fondo Finanza e Sviluppo Impresa secondo le attese sara' sottoscritta da fondazioni, banche, altre istituzioni finanziarie o enti locali.
Il fondo secondo le attese realizzera' tipicamente investimenti medi di 3 milioni di euro.


Riuscirà a decollare in un paese in cui la borsa è ferma, il MAC è fallito, il ventrure capital è una chimera?

Il web dopo la cacciata di Larry Page e Sergey Brin

Uno dei principali blogger cinesi, Han Han (qui raccontato dal TIME), si è divertito a immaginare il futuro del web cinese, partendo dalla scomparsa di Google in Cina.

Nel 2011 una nota governativa intimerà: «usare i motori di ricerca rende il popolo pigro». Qualche leader locale dichiarerà pubblicamente: «non ho mai usato un motore di ricerca».

Il governo arruolerà milioni di persone pagate 50 centesimi (circa 5 centesimi di euro) per postare sui forum in favore del governo. Nel 2015 il governo taglia internet e fornirà computer senza tastiera. Nel 2016 ci saranno solo un milione di utenti on line, che navigheranno un'unica grande pagina.

I problemi però arriveranno: ci saranno milioni di commentatori dei forum senza lavoro. Il «Quotidiano Del Popolo» scriverà: «un'industria è stata sacrificata, ma per il bene della nazione». Nel 2019 la Cina chiuderà i propri confini, ma nel 2020 il mondo si distruggerà. Qualche discendente dei Maya chiarirà che in caso di eventi così straordinari, un ritardo di qualche anno, è un errore di ben poco conto.

da il manifesto 21 gennaio 2010

A proposito di Banca Etica (ancora)

Vi sono delle stranezze in Banca Etica che sono interessanti da analizzare come specchio della società italiana.

Un movimento di decine di migliaia di persone, ispirato ad idee di economia solidale, partecipata, alternativa, fonda una banca cooperativa e poi non si preoccupa:
- di capire se e come vengono aggirate le norme statutarie (vedi caso compensi al presidente);
- di promuovere un ricambio costante degli organi politici;
- di assicurare che il progetto sia coerente con le finalità e i valori di partenza.

Sarebbe utile anche sapere se sul merito Banca d'Italia si sia mai espressa. Visto che in casi analoghi (BPER, BPM) l'autorità di via Nazionale ha segnalato, proposto, favorito modifiche statutarie, ad esempio a tutela delle minoranze.

Una cosa che oggi in Banca Etica suona tabù!
Ma forse il popolo bue è trasversale alla società. Non è solo quello che guarda la tv.

La debolezza di questo stato, la forza di una donna

E' forte Carla Verbano. Che a 86 anni scrive un libro sulla morte del figlio Valerio, ucciso 30 anni fa da un trio di fascio-imbecilli.

Il libro è denso, perchè pieno di vita, dolore, voglia di capire, di arrivare ad una verità. Quello che lo stato, per Valerio come per tanti altri, che pure nel libro sono ricordati, non ha mai saputo trovare. Con tale insipienza che c'è da domandarsi quanto sia stata veramente cercata.

Lo stato è insipiente, ma è anche corrotto. E non si sa se di queste storie faccia più paura l'una o l'altra faccia della stessa medaglia: la solitudine del cittadino.
Ma Carla usa la sua esperienza per mettere a nudo tutto ciò. In modo semplice ma tutt'altro che ingenuo: incrociando fatti, luoghi, nomi e cognomi. Dimostrando di non aver mai avuto paura di affrontare gli assassini di suo figlio, uno dei tanti "asini" (cosi' li chiama, a partire dallo stesso Valerio) che in quegli anni giocavano maldestramente ai rivoluzionari.

Fa pochi giorni, il 22 febbraio, ricorrerà il trentesimo anniversario della morte di Valerio. I fascisti ancora imperversano in questo paese. Così come uno stato corrotto e spesso insipiente.

Andate a leggere il blog di Carla. E leggete il bel libro che ha scritto.

La libertà nel mondo e la nostra pagliuzza

E' uscita poche settimane fa la nuova edizione del rapporto Freedom in the World.

Curato dalla Freedom House, think tank americano indipendente, sostenuto dal 1941 anche con fondi governativi (non proprio dei gruppettari da centro sociale, dunque), il rapporto per il 2010 evidenzia le "preoccupazioni per la libertà di stampa in Italia, troppo concentrate nelle mani del premier" e la crescita "di comportamenti di stampo discriminatorio anche a causa delle politiche messe in atto dal governo".

Ma, è ovvio, son tutti comunisti. Comunque fa un certo effetto leggere dell'Italia come di un paese a libertà razionata ("partly free"). Finchè ce lo diciamo da soli, può passare per la solita esagerazione da bar, ma quando lo leggiamo su un rapporto internazionale in cui veniamo classificati insieme alla Turchia.... ci accorgiamo che non è una pagiuzza.

Debiti da surf

Le nostre società vivono sul debito. Siamo abituati a surfarci sopra. In alcuni contesti, come nel Usa o Gran Bretagna, la tradizione vuole che il debito sia quello delle famiglie.

Così i governi fanno i virtuosi e pretendono di imporre le loro regolette (deficit zero) anche a paesi dalla struttura patrimoniale molto diversa.

Come l'Italia, in cui le famiglie - per fortuna - sono assai patrimonializzate, hanno una ricchezza netta positiva, e tengono in equilibrio un sistema in cui il debito pubblico, lo sappiamo, è tra i massimi d'Europa.

Tutto questo emerge bene da una recente analisi del Mc Kinsey Global Institute.

Come riportato nella tabella a fianco, l'Italia deve temere più i suoi governi e le sue imprese, ben bene indebitate, che le sue famiglie. Lascia, inoltre, un po' dubbiosi la valutazione sulle banche italiane: che il loro livello di attenzione debba essere pari a quello delle banche Usa sembra poco credibile.

In ogni caso, il processo di raffreddamento del debito non sarà breve e non sarà indolore. Ma è bene che i policy maker che si alterneranno al governo del Bel paese facciano capire ai tecnocrati di Washington (ma anche della BCE) che l'infrastruttura patrimoniale dell'Italia non è quella degli Stati uniti e dunque che a parità di numeri, occorre essere meno schematici nelle interpretazioni e dunque nell'individuazione delle soluzioni.

Lo si dice da tempo, vanamente. Chissà che questa crisi non ci porti in dono pure una simile bacchetta magica.

Per leggere l'intero rapporto, cliccate qui.

Stampa da web

Se la stampa ti annoia e quella da web ti insulta con i suoi pop-up, le polemiche da salotto vesp(as)iano e le sue veline, prova qualcosa di essenziale, che parla di cose importanti, multilingua, che ti dà punti di vista diversi su ciò che ti tocca.

L'ho scoperto da poco, per mia ignoranza, e lo segnalo solo ora: ma esiste da maggio.

E' un'iniziativa molto interessante: Presseurop.eu.

Se riesce a resistere...

Problemi col cash?

Son diversi i problemi col denaro dei paesi autoritari. Classico è il rischio inflazionistico. E classiche sono le misure inutili, perchè non sostenute dalle logiche di mercato, per contrastare l'inflazione.

L'ultimo esempio viene dalla Corea del nord, che a fine anno ha tagliato di due 'zeri' il valore della propria valuta. Cogliendo anche l'occasione per rastrellare quel po' di ricchezza privata accumulatasi (le famiglie, nel cambio dalla vecchia alla nuova valuta, non potevano comunque ottenere più di un tot...).

Un commento scandalizzato lo si legge sull'Economist, mentra dal sito Asianews si respira un po' di aria di disastro sociale annunciato.

La verita è che con le monete, il loro significato, la qualità del reale che esprimono, in tanti abbiamo le idee confuse. Ma da Marx in poi (anche prima a dire il vero) non sono mancati quelli con le idee chiare.

Ad esempio, in Italia esiste un Comitato per la moneta di dono. Andateli a trovare.

Le tafazziate della sinistra - via facebook

Facebook è un mondo di ego frustrati e fragili vanità. Il Condor ci è entrato per curiosità. E ha scoperto tante cose, alcune simpatiche, molte terribili.
Una questione curiosa è come la sinistra, o supponente tale, usa lo strumento. Facendo amicizia con cani e porci, confondendo la rete con il carnaio.

Poi ci sono i proclami. Ogni volta che trovi un 'amico', puoi riempirlo di 'proclami'. La rete come sfogatoio. Un esempio è la pagina di Marcello Degni, per altri aspetti ammirevole, dove però si è infilato un insensato appello per il salvataggio del centro studi di Sviluppo Lazio.

Il centro studi di Sviluppo Lazio? una cosa così necessaria alla popolazione? gestita da una società (Sviluppo Lazio) esempio di tale perfetta efficienza e assenza di clientele?
Ma siamo impazziti?

Mentre la principale responsabilità della giunta uscente è proprio quella di non aver messo mano all'assurdo sistema delle partecipate regionali, che ingurgitano fondi pubblici senza senso e alimentano corruzione e clientele più o meno mafiose - altro che il presidente a trans! - qui ci si scalda per garantire una sopravvivenza al centro studi di Sviluppo Lazio?

Appare una scelta:
- stupida (di tutto c'e' bisogno a Roma e nel Lazio meno che di un altro centro studi);
- di cattivo gusto (Marcello Degni, che lancia l'appello, ne è stato Direttore fino a un mese fa);
- tatticamente sbagliata (perchè quando arriverà la destra - e arriverà - sai che se ne frega degli appelli di Degni...).

Ma la sindrome tafazziana contagia anche Facebook....

Affondate le barche

Nelle acque di Gaza, la sopravvivenza dei palestinesi dipende dalla discrezionalità della Marina israeliana, che arresta i pescatori e cerca di farne delle spie. Un militare di Tel Aviv «rompe il silenzio». Un capitano svela la strategia della Marina contro i pescatori palestinesi

È un'atmosfera davvero insolita per parlare del dramma che i pescatori palestinesi vivono ogni giorno nelle acque davanti alla costa di Gaza. Siamo in un caffè di Tel Aviv, all'angolo tra via Mazarik e Piazza Rabin, e ritmi brasiliani allietano la serata dei tanti che affollano il locale. Eppure l'ha scelto apposta, il capitano della Marina israeliana Ido M., 29 anni, che ci ha chiesto di non rivelare la sua identità perché è ancora un riservista.

«Con questa confusione nessuno presterà attenzione alla nostra conversazione, per me sarà più semplice non essere identificato», spiega il capitano guardando negli occhi il rappresentante dell'associazione di soldati e ufficiali israeliani «Breaking the silence» («Rompere il silenzio») che ha organizzato l'intervista. Da tempo Ido M., che fino al dicembre 2007 ha avuto il comando di una motovedetta della classe «Dabur», voleva «rompere il silenzio» sul comportamento delle navi da guerra israeliane contro i pescatori di Gaza. Ma è riuscito a farlo solo dopo aver lasciato la carriera militare. «Continuo ad essere richiamato ogni anno per tre settimane ma nel mare di Gaza non vado più, mi rifiuto di farlo e il comando della Marina mi ha assegnato un incarico a terra, in un ufficio», aggiunge il capitano preparandosi a rispondere alle nostre domande.

Per quanto tempo hai avuto il comando di una delle motovedette israeliane che entrano nelle acque di Gaza.
Per quasi tre anni, prima e dopo il 2005, ma avevo partecipato a missioni in quella zona durante la formazione all'accademia navale.

Perché fai riferimento al 2005, l'anno del ritiro di coloni e soldati israeliani da Gaza?
Il comportamento e le regole di ingaggio della Marina sono cambiate dopo il ritiro, nel 2005. Prima, le violazioni (israeliane, ndr) delle acque territoriali di Gaza erano occasionali perché i pescatori palestinesi avevano la possibilità di spingersi al largo per una dozzina di miglia e gettare le reti in acque pescose. Dopo il 2005 la Marina, per ordine del governo, ha cominciato a restringere il limite di pesca portandolo a una misura minima dopo il giugno 2007, quando Hamas ha preso il potere a Gaza. Allo stesso tempo le regole di ingaggio si sono allentate, nel senso che se nel 2002 ogni intervento contro i pescatori doveva essere coordinato in ogni momento con il comando centrale, dopo il 2005 e soprattutto il 2007, ai comandanti delle unità «Dabur» è stata lasciata ampia libertà. Inoltre, se in passato ad ogni operazione (contro i pescatori, ndr) seguiva un'analisi dettagliata dell'accaduto una volta rientrati alla base, oggi questo non accade quasi più.

Quali sono le regole?
La principale riguarda lo spazio entro il quale restringere la possibilità di pesca per i palestinesi di Gaza. Attualmente credo che un peschereccio palestinese non possa andare oltre le tre miglia dalla costa ma, in ogni caso, questo conta fino ad un certo punto. Quando andiamo in mare ci vengono comunicati gli ordini e quel limite varia per decisione delle autorità politiche.Spesso viene ulteriormente ridotto. Noi dobbiamo farlo rispettare. L'azione delle nostre unità diventa più intensa e repressiva in due corridoi, larghi 1,5 km, nelle acque palestinesi che determinano il limite orientale e occidentale dello spazio concesso ai pescatori. In questi due corridoi, dove nessuno può entrare e le acque sono tranquille, ovviamente i pesci abbondano, specie nel periodo primaverile. I pescatori quindi tentano di penetrarvi anche solo per lanciare una rete che torneranno a recuperare piena di pesci in un secondo momento. In quei casi la Marina interviene con durezza arrestando i pescatori, confiscando le imbarcazioni, distruggendo le reti e usando anche le armi.

Ma sono acque palestinesi non israeliane.
Certo, tutto avviene sempre nelle acque di Gaza non in quelle israeliane. Negli anni in cui sono rimasto in servizio attivo in quella zona non c'è stato alcun tentativo palestinese di infiltrazione nelle acque territoriali di Israele e negli ultimi anni la percentuale di azioni armate palestinesi via mare non supera lo 0,1%.

Ufficiali e marinai sanno di aver di fronte pescatori che dal mare traggono il sostentamento.
Naturalmente, lo sanno tutti.

Ne discutevate al ritorno alla base?
Pochissimo, quasi niente. Quando si è parte del sistema, raramente si mettono in discussione certe politiche. Ufficiali e marinai inoltre vogliono portare a casa risultati, far vedere ai superiori che la Marina sta facendo la sua parte, sta dando il suo contributo alla «lotta al terrorismo», come l'Esercito e l'Aviazione. Anche se i risultati sono l'arresto di qualche povero pescatore e il sequestro di qualche imbarcazione.

Parliamo degli arresti in mare. Come e per quale motivo avvengono.
Anche in questo caso le regole valgono fino a un certo punto. A volte quando fermiamo i pescatori in mare e controlliamo i loro documenti, dal comando ci viene detto di arrestarne uno o due, senza una motivazione precisa. Li portiamo alla base di Ashdod dove vengono presi in consegna dagli uomini dello Shin Bet (il servizio di sicurezza) che ha il compito di interrogarli ma anche di reclutare collaborazionisti.

Voi ne siete informati?
Il nostro compito termina nel momento in cui gli arrestati mettono piede a terra ma, naturalmente, sappiamo che lo Shin Bet cerca di avere informazioni su quel che accade a Gaza, specie da quando c'è Hamas al potere, e che prova a trasformare gli arrestati in spie, minacciandoli di tenerli in carcere per anni o, al contrario, promettendo soldi e permessi speciali.

Hai mai ordinato ai tuoi uomini di sparare in direzione delle imbarcazioni palestinesi?
Sì, l'ho fatto e in un caso il fuoco delle mitragliatrici ha ferito un pescatore. Il più delle volte non si spara direttamente sui pescherecci ma in mare, sul lato sinistro dell'imbarcazione. In questo modo i proiettili, rimbalzando sull'acqua cadono verso destra con effetti meno letali ma non per questo poco pericolosi. So di diversi pescatori di Gaza feriti dal fuoco delle nostre armi. Una notte i palestinesi erano usciti in mare con un'imbarcazione più grande e alcune piccole barche che poi hanno formato un cerchio. I pescatori avevano anche acceso delle lampade a gasolio per attirare i pesci. Si erano però spinti fino al limite di una fascia proibita di 1,5 km e dal comando, a un certo punto, mi hanno detto di aprire il fuoco e di affondare una delle barche più piccole a scopo punitivo. Dalla mia unità, un marinaio ha lanciato degli avvertimenti in ebraico ai palestinesi, poi la mitragliatrice leggera ha fatto fuoco. Uno dei pescatori è stato colpito alle gambe. Mentre ci allontanavamo abbiamo visto i suoi compagni che cercavano di aiutarlo.

Hai mai disobbedito a un ordine mentre eri nelle acque di Gaza?
Sì, o almeno non l'ho eseguito come avrebbero voluto al comando. Avevamo arrestato dei pescatori. Dal comando mi hanno detto di interrogarli, ma quelli si rifiutavano di rivelarci la loro identità. Da Ashdod hanno insistito per avere quelle informazioni, ho risposto che i palestinesi continuavano a rimanere muti. Quindi mi hanno detto di andare avanti, fino a farli parlare. A quel punto ho capito che mi stavano chiedendo di usare la forza. Ho replicato che non lo avrei fatto. I minuti successivi sono stati davvero difficili. Per uscire da quella situazione ho preso da parte uno dei palestinesi, quello che parlava un po' di ebraico, chiedendogli di dirmi almeno i loro nomi. Quel mio gesto conciliante invece lo ha impaurito, forse ha pensato che lo avrei picchiato, così ha cominciato a piangere nonostante le mie rassicurazioni. Una scena che non dimenticherò mai.

Perché hai deciso di raccontare tutto questo ai giornalisti?
Perché bisogna rompere il silenzio, non si può tacere di fronte a ciò che accade nelle acque di Gaza.

da il manifesto del 28 gennaio 2010

Anche le BCC nel loro piccolo...

La Bcc Manzano, istituto cooperativo friulano con 24 sportelli, azzera i vertici operativi. Il cda ha infatti deciso lunedi' di dimissionare il direttore generale, Dino Cozzi, e il vicedirettore generale Gianberto Zilli. La decisione e' stata presa dopo l'esito di un'ispezione della Banca d'Italia. Secondo i quotidiani veneti la Vigilanza ha mosso delle contestazioni sui sistemi di controllo interni a presidio dell'antiriciclaggio.

La vicenda e' seguita dalla Federazione
delle banche di credito cooperativo del Friuli Venezia Giulia. Il presidente della Federazione, Giuseppe Graffi, interpellato da Radiocor, anticipa le prossime dimissioni del cda della banca, presieduto da Ezio Cleri, all'assemblea che sara' convocata nelle prossime settimane. "E' nella logica delle cose: sara' poi il nuovo cda a scegliere il nuovo direttore generale. La banca in ogni caso - aggiunge Graffi - e' solidissima, non ci sono problemi patrimoniali". La banca, aggiunge il presidente della Federazione friulana, ha un patrimonio di circa 100 milioni, il piu' alto tra le bcc della regione, e coefficienti patrimoniali piu' alti della media di sistema (total capital ratio oltre il 23%).

La Federazione
regionale "fornira' su richiesta della Bcc di Manzano tutta l'assistenza e la consulenza necessaria per gli adempimenti che dovranno essere svolti nei prossimimesi" secondo le richieste della Banca d'Italia.

Non sempre, dunque, piccolo (o cooperativo) è bello. Non sempre grande (dunque mediamente più professionale) è brutto. C'è da pensare per i tanti soloni che oggi mettono mani alla futura regolamentazione dei mercati del credito.

Fuori i bambini da Rai3

Ha sempre meno senso pagare il canone Rai. L'ultima notizia a conforto di tale decisione è la scelta di cancellare i programmi per bambini da RaiTre, da ottobre 2010. La ragione ufficiale? L’ottimizzazione dei costi e la necessità, in tempi di crisi, di risparmiare un po’.
Ma, in realtà, c'è tanto da ottimizzare (e da risparmiare) nella tv pubblica che si parte dai più piccoli proprio perché si pensa che siano un "soggetto debole", specie se protetto - nella televisione pubblica - dall'aggressività degli spot.
Saltano, così, alcune delle migliori trasmissioni - in assoluto - del già fiacco palinsesto pubblico:
- Melevisione,
- Trebisonda,
- il Tg dei ragazzi,
- il videogiornale del Fantabosco.

Forse i geni del Cda Rai ritengono che tutte le famiglie italiane debbano approvvigionarsi di programmi per bimbi fuori dalla tv generalista, presso i canali tematici, arrivati a 21 tra satellite e digitale.

Di fronte a questo ennesimo affronto all'idea di "servizio pubblico" non resta che riscoprire la teoria gandhiana della non violenza, che poi vuol dire disobbedienza civile, e in questo caso, obiezione di coscienza al pagamento del canone Rai. Con buona pace dei sofisti autoflagellanti della sinistra.

Quattro Nobel non meritati

L'analisi di Noam Chomski sui quattro presidenti americani che hanno vinto il premio Nobel per la Pace.

Barack Obama, il quarto presidente statunitense a vincere il premio Nobel per la pace, continua come i suoi predecessori a promuovere la convivenza pacifica. A patto che non danneggi gli interessi degli Stati Uniti. Tutti e quattro questi presidenti hanno lasciato la loro impronta sull’America Latina. Visto l’atteggiamento dell’amministrazione Obama nei confronti delle elezioni in Honduras del novembre 2009, forse vale la pena di ricordare alcuni fatti.

Theodore Roosevelt. Durante il suo secondo mandato presidenziale (1904-1908) Roosevelt dichiarò: “Negli ultimi quattro secoli, l’espansione dei popoli di razza bianca, o europea, ha recato beneficio alla maggior parte delle popolazioni che abitavano le terre in cui quest’espansione è avvenuta”. Era perciò “inevitabile per il bene dell’umanità nel suo complesso che il popolo statunitense estromettesse i messicani” conquistando metà del Messico ed era “fuori questione aspettarsi che i texani si sottomettessero al dominio di una razza più debole”. Naturalmente, anche l’uso della diplomazia delle cannoniere per sottrarre Panama alla Colombia e costruire il canale fu un dono all’umanità.

Woodrow Wilson. Wilson è il più rispettato dei presidenti che hanno ricevuto il Nobel per la pace e forse è quello che ha danneggiato di più l’America Latina. L’invasione di Haiti nel 1915 provocò la morte di migliaia di persone e lasciò il paese in rovina. Per dimostrare il suo amore per la democrazia, Wilson ordinò ai marines di sciogliere il parlamento haitiano perché non aveva approvato la legislazione che avrebbe permesso alle aziende americane di comprarsi tutto il paese. Wilson invase anche la Repubblica Dominicana “per garantire la sua sicurezza”. Entrambi i paesi rimasero per decenni sotto feroci dittature, eredità dell’“idealismo wilsoniano”, uno dei princìpi fondamentali della politica estera statunitense.

Jimmy Carter. Per il presidente Carter (1977-1981), i diritti umani erano “l’anima della nostra politica estera”. Robert Pastor, il suo consulente per la sicurezza nazionale in America Latina, spiegò l’importante distinzione tra difesa dei diritti umani e politica reale: purtroppo l’amministrazione aveva dovuto appoggiare il regime del dittatore Anastasio Somoza in Nicaragua e aveva finanziato la sua guardia nazionale addestrata dagli Stati Uniti, anche dopo che aveva massacrato 40mila persone “con una brutalità che di solito un paese riserva ai suoi nemici”. Per Pastor, “gli Stati Uniti non volevano controllare il Nicaragua, ma non volevano neanche che la situazione sfuggisse al loro controllo. Volevano che i nicaraguensi agissero in piena autonomia tranne quando questo danneggiava gli interessi americani”.

Barack Obama. Il presidente ha allontanato gli Stati Uniti da quasi tutta l’America Latina e dall’Europa riconoscendo il colpo di stato militare che l’estate scorsa ha rovesciato il governo democratico dell’Honduras. “Quel golpe rifletteva enormi divisioni politiche e socioeconomiche”, ha scritto il New York Times. Il presidente Manuel Zelaya stava diventando una minaccia per quella che la “piccola borghesia” chiamava la “democrazia”, cioè il predominio delle “imprese e delle forze politiche più potenti del paese”. Zelaya stava proponendo misure pericolose come l’aumento dei salari in un paese in cui il 60 per cento della popolazione vive in povertà. Doveva andarsene.

A novembre solo gli Stati Uniti e pochi altri hanno riconosciuto le elezioni vinte da Pepe Lobo e gestite dai militari: “Un grande trionfo della democrazia”, secondo l’ambasciatore di Obama Hugo Llorens. Così Washington ha potuto mantenere l’uso della base aerea di Palmerola, particolarmente preziosa da quando i militari americani sono stati costretti a ritirarsi da quasi tutta l’America Latina. Dopo le elezioni, Lewis Anselem, rappresentante di Obama all’Organizzazione degli stati americani, ha consigliato agli stati sudamericani di riconoscere il golpe “nel mondo reale, e non in quello del realismo magico”.

Dati gli stretti rapporti tra il Pentagono e l’esercito dell’Honduras, e l’enorme influenza economica che gli Stati Uniti hanno sul paese, sarebbe stato facile per Obama schierarsi con i paesi europei e latinoamericani a fianco della democrazia hondureña. Ma Obama ha preferito seguire la solita linea statunitense. Lo storico britannico Gordon Connell-Smith ha scritto una volta: “Anche se fingono di incoraggiare la democrazia in America Latina, gli Stati Uniti sono interessati al suo opposto”, fatta eccezione per la “democrazia procedurale, cioè le elezioni, che troppo spesso si sono rivelate una farsa”.

La vera democrazia soddisfa i bisogni della popolazione, mentre “gli Stati Uniti sono preoccupati soprattutto di creare le condizioni favorevoli per i loro investimenti”. Ci vuole una buona dose di “ignoranza intenzionale” per non accorgersene.
E questa cecità dev’essere preservata a tutti i costi se si vuole che le cose continuino così, sempre per il bene dell’umanità, come Obama ci ha ricordato nel suo discorso per il Nobel.

da www.internazionale.it